Silenziosa e dal
passo triste come un'anima appena giunta nell'Oltretomba, Persefone
sfilò tra le ombre dei defunti nell'immensa Prateria degli Asfodeli,
davanti al Palazzo di Ade. L'aria pesante e nebbiosa degli Inferi le
entrava dentro ad ogni respiro, soffocandola di malinconia e
instillandole un persistente desiderio di pianto, perché tutto di
quelle terre così lontane dai verdi e rigogliosi campi della
superficie, ai quali era abituata, odorava di morte: il suolo
grigio e secco, le torbide acque del fiume Stige, il cielo fosco
privo di astri, più simile al fondo di un pozzo maleodorante che a
una bella volta celeste...
Persino il più
insignificante dei dettagli di quel mondo sotterraneo era intriso di
disperazione, quasi i lamenti e le lacrime dei defunti, nel lento
fluire dell'eternità, lo avessero in qualche modo corroso
incupendone l'aspetto.
Ma la Dea, pur
avvertendo gli occhi farsi umidi, ricacciò indietro il desiderio di
cedere alle lacrime e proseguì sul suo cammino.
Da quando Ade
l'aveva strappata dal regno dei vivi sposandola contro la sua
volontà, Persefone aveva cercato conforto nel pianto innumerevoli
volte, e le lacrime erano riuscite per qualche minuto ad alleggerire
il suo dolore perché nel versarle aveva rivolto le proprie preghiere
al padre Zeus affinché intercedesse per lei e la salvasse da
quell'oscuro destino. Ma ora che il suo fato era segnato, ora che
persino sua madre Demetra si era messa il cuore in pace e aveva
accettato quelle circostanze, Persefone sapeva che piangere avrebbe
solamente intensificato la sua sofferenza e null'altro.
Avrebbe passato
sei mesi dell'anno accanto al suo sposo e gli altri sei in
superficie, di nuovo tra le braccia di sua madre.
Così era stato
deciso e lei doveva piegarsi al volere degli Dei.
Doveva essere
forte. Se lo ripeteva continuamente.
Ma accettare quel
destino non era cosa semplice e più il tempo passava più Persefone
aveva l'impressione di essere stata seppellita viva: giovane, bella e
viva, sotto tonnellate e tonnellate di terra dall'odore
nauseante, costretta suo malgrado a farsi del male ricordando con
nostalgia i bei momenti trascorsi alla luce del sole, a raccogliere
fiori e intrecciare coroncine d'edera e biancospino in compagnia
delle sue più care amiche.
Come potrò mai
abituarmi a tutto questo? Come potrò mai amare l'uomo che mi ha
rovinato la vita?
Persa nei suoi
pensieri, Persefone passeggiava tra le ombre decisa a mescolarsi ad
esse e ad avere, seppure per qualche istante, l'impressione di
svanire nel nulla, dimenticata da tutto e tutti. Ma i defunti,
riconoscendo in lei la sposa del Re degli Inferi, le aprivano la
strada con deferenza ed evitavano di incrociare il suo cammino
offrendole più spazio di quanto desiderasse.
Allora lei si
allontanò dalla mischia per ammirarla da lontano e con l'erba ruvida
della Prateria degli Asfodeli a farle il solletico sotto i piedi
scalzi raggiunse un cipresso bianco, a sinistra del Palazzo di Ade.
Ne sfiorò il fogliame con la punta delle dita e lo trovò freddo,
quasi la pianta fosse morta da tempo. Per nulla sorpresa calò la
mano e volse il capo verso le inquietanti ombre ammassate più
avanti.
Il fiume Lete, uno
dei cinque fiumi infernali, lambiva la Prateria degli Asfodeli a sud,
scorrendo alla sinistra del tempio di Ade. Noto a Dei e mortali con
l'appellativo di fiume dell'oblio, attirava le anime dei
defunti col potere delle sue scure acque capaci di cancellare ogni
ricordo dell'esperienza terrena appena conclusa, piaceri e dolori
compresi.
Persefone osservò
in silenzio quelle ombre, chine sulle sponde del Lete, e provò
invidia per loro. In quanto Regina degli Inferi quelle magiche acque
non avrebbero avuto alcun effetto su di lei, se mai avesse avuto il
coraggio di berle.
Ormai questo è
il mio destino... posso solo attendere il trascorrere dei sei mesi...