ATTENZIONE: il racconto contiene scene di nudo e allusioni sessuali
Benché vantasse un viso dai tratti nobili e
aggraziati, che in certi contesti pareva quasi smascherare le sue origini
regali, il giovane Paride non sapeva di essere un principe, né era a conoscenza
delle incredibili vicissitudini che l'avevano condotto sul Monte Ida quand'era
ancora in fasce, e non vi era di che stupirsi.
Come avrebbe potuto sapere che
suo padre Priamo aveva progettato di ucciderlo, terrorizzato da una profezia
che vedeva proprio in quel suo figliolo appena nato il responsabile della
futura distruzione di Troia? Come avrebbe potuto sapere che Agelao, lo stesso
uomo che con tanto affetto lo aveva cresciuto tra i boschi dell'Ida, invece di
portare a compimento quell'orribile delitto impostogli dall'alto aveva scelto
di disobbedire, salvandogli così la vita e mettendo a rischio la propria? Come
avrebbe potuto sapere ciò che il destino gli aveva celato fino ad allora,
incastrandolo in un'esistenza piatta e noiosa che non era la sua?
Ignorava persino di chiamarsi Paride. Agelao,
per celare la sua identità e offrirgli una vita il più sicura possibile, gli
aveva cambiato il nome in Alessandro, “il difensore di uomini”, ma era questione
di poco prima che il Fato gli si schiantasse addosso, rivelandogli la verità e
rendendo memorabile per anni a venire quell’assolata mattina che, ai suoi occhi
ignari, si presentò identica a tutte le altre.
Alzatosi all'alba, al primo canto del gallo,
il ragazzo aveva condotto le pecore sui pascoli del Monte Gargaro, la vetta più
alta dell'Ida, e là, seduto su di masso, controllava pigramente che le bestie
non si allontanassero troppo l'una dall'altra cacciandosi nei guai.
La brezza mattutina soffiava lieve tra le
fronde; il cinguettio delle allodole, appollaiate sui rami, rallegrava l'aria,
mescolandosi al liquido sciacquio dei ruscelli che dalle sorgenti del monte
scorrevano a fondovalle, a rifornire d’acqua limpida i villaggi. E mentre
Paride era impegnato ad annoiarsi, riuniti sulla cima dell'Olimpo gli Dei lo
osservavano senza mai staccargli gli occhi di dosso, neppure per un istante. A
breve, Hermes e le tre Dee si sarebbero presentati al suo cospetto, spingendolo
ad accettare lo sgradevole ruolo di giudice in quella gara di bellezza, e tutti
si chiedevano come il giovane avrebbe reagito nel trovarsi davanti non una, ma
ben quattro creature celestiali, e a chi mai avrebbe scelto di offrire il tanto
ambito pomo d'oro.
«Povero fanciullo» esordì con tono materno
Demetra, una delle poche divinità a mostrare empatia nei confronti del mortale.
«Per quanto possa decidere con saggezza, nulla lo salverà dall'ira delle due
Dee perdenti.»
«Se è furbo darà la mela a Era» affermò Zeus,
che come tutti conosceva bene l'animo follemente vendicativo della consorte,
capace delle peggiori nefandezze pur di difendere il proprio onore. «Ma se è
onesto solo la metà di quanto io credo che sia, allora non potrà fare a meno di
inchinarsi di fronte alla magnificenza di Afrodite.»
Poseidone prese a lisciarsi con una mano la
barba azzurrina, pensieroso. «Spero vivamente che ciò avvenga. È lei la più
bella, la più sensuale, ma se anche il ragazzo si lasciasse intontire
dall'innegabile eleganza di tua moglie, io mi reputerei ugualmente soddisfatto.
Ciò che mi preme è che Atena non ne esca vincitrice.» Nel riportare a galla
vecchi ricordi di dispute e scontri avuti con la Dea, il Dio del Mare indurì lo
sguardo. «Non merita quel pomo e sarebbe una pazzia darglielo.»
«Suvvia, fratello, ora non esagerare!» replicò
Zeus, infastidito nel sentir parlare in quel modo della sua figlia prediletta.
«Atena è tanto graziosa quanto intelligente, e con le sue doti è in grado d’ammaliare
il figlio di Priamo e conquistare onestamente il trofeo. Non macchiarti
d’ingenuità dando per scontata la sua sconfitta.»
«Ogni poro del suo corpo sprizza superbia e
le sue forme non sono prosperose a sufficienza da compensare quell'aura di
altezzosità che tanto me la rende odiosa. Come pensi che potrà mai conquistare
Paride, o qualsiasi altro uomo, una Dea così dominante nell'atteggiamento?»
«Io mi limito a osservare ciò che accadrà,
confidando nelle capacità di discernimento del mortale e affidandomi al suo
giudizio, così come dovresti fare tu.»
«Non dirmi ciò che devo fare! Sai che non lo
tollero!»
«Allora
taci, che i tuoi sgradevoli commenti mi stanno innervosendo!»
«Via, via, non litigate!» esclamò Dioniso con
un largo sorriso, offrendo a entrambi i fratelli due coppe di vino rosso, colme
fino all'orlo. «È solo una sciocca competizione tra femmine, non c'è motivo di
prenderla a male!»
«Sciocco è chi considera sciocca questa
disputa» replicò Apollo scoccando un’occhiata stizzita in direzione del Dio del
Vino, di quelle che si rivolgono agli stupidi senza speranza. «In qualsiasi
modo essa si concluda, porterà malumore e inevitabili vendette.»
«Non essere così negativo, fratello mio! E se
le Dee perdenti reagissero mostrando rispetto e maturità? Non lo si può
escludere a priori...»
«Non ho mai udito nulla di più stupido,
eppure ormai dovrei essere abituato alle tue idiozie!» Apollo arricciò gli
angoli della bocca in un sorriso sarcastico, poi tornò serio. «No, non pensarci
nemmeno. Secondo me, le perdenti si infurieranno come bestie!»
«È vero, ha ragione Apollo. La prenderanno a
male!» esclamò qualcuno dal fondo.
«No, secondo me ha ragione Dioniso» gli rispose
qualcun altro. «Dopotutto si tratta solo di una stupida mela. Perché
prendersela tanto a cuore?»
«Parli come se non conoscessi le donne e ciò
di cui sono capaci!»
«Il punto non è il pomo di per sé, ma ciò che
rappresenta!»
«Non dico che Era e Atena non se la
prenderanno! Dico solo che mi è arduo credere che siano capaci di vendicarsi
per così poco.»
«E chi ti dice che saranno loro le
sconfitte?»
«Ma ha ragione, la vittoria di Afrodite è
scontata! Che senso ha negarlo?»
«Vincerà Era, ve lo dico io.»
«No, vincerà Atena! Paride si lascerà
stregare dal suo portamento fiero e dalle sue belle parole, e le offrirà il
pomo!»