Un
tripudio di colori, profumi e canti animava i verdi boschi del Monte Pelio, in
festa per l’unione più attesa e chiacchierata del secolo: il matrimonio tra la
nereide Teti e il mortale Peleo, celebrato al cospetto di Zeus e di tutti gli
Dei maggiori, discesi dall'Olimpo per presenziare al lieto evento e offrire
agli sposi i propri doni e la propria benedizione.
Il
simposio si svolse davanti alla grotta del centauro Chirone, nascosta nei
meandri della montagna, e attorno alla più grande delle tavole imbandite per
l’occasione, luccicante di piatti e coppe d’oro, gli Dei si godevano il
banchetto, seduti su dodici troni tempestati di diamanti. Calici alla mano,
sorseggiavano vino e nettare, mentre tutt’attorno regnava l’euforia. I
centauri, compagni di Chirone, scalpitavano festosi e già un po’ ebbri; le
Muse, riunite a cerchio, intonavano canti melodici accompagnate dalla lira del
talentuoso Orfeo, conquistandosi occhiate di ammirazione da parte di Apollo,
seduto al tavolo degli Olimpi accanto alla sorella Artemide; Ebe la Coppiera
girava senza sosta tra gli invitati, riempiendo loro le coppe e sorridendo con
cortesia, mentre Pan soffiava energicamente nella zampogna, inquinando con le
sue note stonate la perfezione della lira di Orfeo e infiammando di divertimento
gli animi delle Menadi, seguaci di Dioniso, che ubriache giacevano sul prato a
ridere l’una dell’altra con le tuniche macchiate di vino.
L’allegria
era alle stelle, gli animi deliziati dal calore dei festeggiamenti.
E
tra una coppa di nettare e l’altra, quando l’attenzione di tutti pareva
spostarsi altrove, tra gli Dei volavano sguardi eloquenti, che nella loro
immediatezza rivelavano conflitti irrisolti, sentimenti di stima mai confidata
e amori segreti.
Un
osservatore attento li avrebbe colti tutti, a cominciare dalle occhiate
perentorie che l’elegante Era, Signora degli Dei, lanciava al marito ogni
qualvolta i suoi occhi si soffermavano con troppa insistenza su una delle donne
con cui in passato aveva condiviso il letto.
Per
la Dea non era affatto facile godere appieno di quei rari momenti di unione
familiare, perché tante, troppe, erano le ex amanti di Zeus che vi prendevano
parte e che puntualmente si presentavano a testa alta accompagnate dai figli
avuti insieme a lui: la bella Maia, che per figlio vantava Hermes, il
Messaggero; la sorella Demetra, che gli aveva dato Persefone; la titanide
Mnemosine, con cui aveva generato le Muse; la pleiade Elettra, dal cui ventre
era nato Dardano, progenitore di Troia...
Ormai
non vi era più alcuna traccia di passione a unire Zeus e quelle donne, ma Era,
visceralmente corrosa dalla gelosia e dal sospetto, naturali conseguenze di
millenni di infedeltà e menzogne, non poteva fare a meno di folgorarlo con lo
sguardo non appena lo scopriva a sorridere loro, sebbene quelli del consorte
fossero sorrisi rilassati, del tutto privi di malizia.
Era
più forte di lei, un bruciore che non poteva contenere in alcun modo, neppure
sforzandosi.
E
quando Zeus incrociava il suo sguardo duro e notava quella particolare smorfia
di indignazione che le increspava le labbra, un moto di nervosismo gli faceva
puntualmente mutare espressione, spingendolo a provare fastidio e compassione
al tempo stesso nei confronti di quella moglie tanto fedele quanto oppressiva.
Ma pur di non infilarsi in situazioni sgradevoli, il Dio la accontentava,
perdendosi in futili chiacchiere ora con suo fratello Poseidone, ora con
Dioniso, ora con lei, e seppur per qualche minuto tutto pareva acquietarsi,
fino al momento in cui una delle donne incriminate non si intrometteva nel
discorso, riconquistando la sua attenzione e, insieme ad essa, anche l'astio di
Era.
Ma
nessuno dei presenti a quel simposio era tanto abile a comunicare con lo
sguardo quanto Ares, Signore della Guerra e del Sangue.
Il
Dio sedeva a fianco della madre Era, vicino alla coppia di sposi. Fiero sul suo
trono indossava un'armatura di bronzo lucido dalle cui spalle pendeva un
mantello rosso, che gli conferiva un aspetto autorevole e, per certi versi,
minaccioso. Un elmo bronzeo, dalla superficie intarsiata e dal lungo pennacchio
nero in crine di cavallo, gli scintillava sulla fronte, calando un velo d'ombra
sui suoi occhi ambrati, che ciononostante continuavano a brillare, accesi di
desiderio.
Si
portò la coppa alle labbra e prese un sorso di vino, senza mai staccare lo
sguardo dall'oggetto del suo amore.
Lei.
Afrodite.
Signora
della Bellezza e dell'Amore.