martedì 9 luglio 2019

PAURA E TERRORE - (La nascita di Phobos e Deimos)




Afrodite capì subito di essere rimasta incinta, non appena aprì gli occhi e la luce del nuovo giorno le si distese sul viso. Ancora nuda per la notte d’amore trascorsa, si rigirò nel letto, allungò le braccia intorno al corpo di Ares e lo baciò sulla guancia. Il guerriero si svegliò, emise un mugolio e le rivolse la solita occhiata annebbiata, da bimbo morto di sonno, che le faceva puntualmente sciogliere il cuore. Afrodite lo baciò di nuovo, stavolta sull’angolo della bocca, e l’espressione buffa di lui si addolcì, trasformandosi in un tenero sorriso. Amavano svegliarsi insieme quasi quanto amavano abbandonarsi alle gioie del sesso, e quella luminosa mattina – mentre si scambiavano lunghi sguardi d’amore nell’intimità della dimora di lei, a Corinto – entrambi sentirono sbocciare nell’animo una gradevole certezza, una sensazione che ben conoscevano e che accoglievano sempre con piacere: quella che avevano di fronte sarebbe stata una bellissima giornata.
Si crogiolarono per un po’ tra le lenzuola, baciandosi e accarezzandosi, poi Ares si alzò controvoglia e si rivestì. Aveva una guerra in Messenia ad attenderlo e circa quattromila opliti, suoi seguaci, da condurre alla vittoria. S’infilò la corazza di bronzo, si piegò e si allacciò i sandali. Nuda e coi capelli sciolti, Afrodite si alzò a sua volta, gli prese la mano spingendolo a rialzarsi e se la posò sul ventre. Ares la guardò negli occhi e, benché fosse il meno perspicace tra i figli di Zeus, capì all’istante ciò che l’amata gli stava comunicando: a differenza delle mortali, che necessitavano di mesi prima di poter confermare una gravidanza, le Dee sentivano immediatamente se il loro grembo era stato seminato e, a riguardo, non sbagliavano mai.
Sorrise e le accarezzò la pancia con impacciata delicatezza.
«So a cosa stai pensando.» Afrodite sorrise a sua volta. «Ricorda che potrebbe anche essere una femmina.»
«Maschio o femmina che sia mi va bene, purché sia forte. Un figlio che possa condividere con me il furore della battaglia.»
«Mmh…» La Dea storse la bocca: l’idea di un figlio assetato di sangue, simile in tutto a suo padre, non le piaceva affatto. «Mi auguro, invece, che goda di un temperamento dolce e pacifico come il nostro Eros.»
«Hah!» Ares emise una risata sprezzante e si piegò di nuovo per legarsi gli schinieri. «Il tuo amore di madre ti rende cieca e ingenua. Eros è uno stronzetto tutt’altro che pacifico!»
«Sì che è pacifico!» sbuffò Afrodite, offesa. «E non parlare così del mio bambino!»
«So che lo adori.» Il guerriero la prese tra le braccia, divertito dal suo visino imbronciato. «Lo adoro anch’io, quel moccioso svolazzante, anche se in certi momenti gli spaccherei le ossa…»
«Sei cattivo!» Afrodite lo respinse per gioco e Ares, che una simile mossa se l’aspettava, l’afferrò per la mano, l’attirò a sé e la cinse di nuovo. «Eros è così buono con te e tu lo maltratti sempre! Meriteresti un figlio cattivo come te, che ti rompa la faccia! Ecco!»
«Un figlio in grado di rompermi la faccia è proprio quello che desidero.» Il tracio posò di nuovo la mano sul morbido ventre della Dea. «Chissà che questa non sia la volta buona…»
«Il Fato ti punirà per la tua crudeltà.» Afrodite affondò le dita tra i capelli di lui, offrendogli un gradevole massaggio al capo. «Sarà una femmina» aggiunse sorridendo. «Una bimba splendida e delicata come la sua mamma. La bimba più dolce di tutto l’Olimpo e di tutta l’Ellade.»
«Ugh…» Ares mimò una faccia disgustata. «Una creatura del genere non può nascere da me.»
«Io credo di sì.»
«Vedremo.» Il guerriero sciolse l’abbraccio, si legò il mantello alla spalla e afferrò l’elmo e la lancia. Era pronto ad andare. «Dammi ancora un bacio...»
Afrodite non se lo fece ripetere e unì le labbra a quelle del Signore dei Soldati. «Torna vincitore…» gli sussurrò sulla bocca.
«Così sarà.» Ares rubò alla Dea un ultimo e velocissimo bacio, poi indossò l’elmo e se ne andò.
Rimasta sola, Afrodite tornò a letto e si rotolò ancora per qualche minuto tra le lenzuola. Poi chiamò a sé le ancelle, ordinò loro di prepararle un bagno caldo e, non appena la vasca fu colma, vi s’immerse fino al collo. Intorno a lei, le serve si affaccendavano saltellando aggraziate per il bagno, come tortore nei pressi di una fontana: c’era chi spargeva sul pelo dell’acqua petali di mandorlo, chi versava olii profumati, chi reggeva asciugamani ancora tiepidi di sole, tuniche più azzurre del mare, sandali ingemmati e lucenti; e poi collane di conchiglie e coralli, orecchini di perle e smeraldi, cinture di cuoio dalle fibbie d’argento, brocche d’acqua fredda e acqua calda, anfore d’olio di nardo, lacci di seta marina per capelli, pettini d’oro, corone di fiori di gelsomino…
Preparare la Dea della Bellezza per il nuovo giorno era un compito lungo e minuzioso che le ancelle corinzie – fanciulle graziose e un po’ civettuole – svolgevano sempre con gran piacere.
Afrodite chiuse gli occhi, rilassata dai mille profumi che ora riempivano il bagno. Dondolò pigramente le braccia sott’acqua, increspandone la superficie, quindi si accarezzò la pancia con entrambe le mani. Gli impercettibili movimenti dell’acqua comunicavano col suo ventre fecondato, infondendole in corpo un’indescrivibile sensazione di benessere, di pace esistenziale. Sorrise e poggiò la testa all’indietro, sul bordo della vasca, mentre le sue aspettative sul futuro crescevano, supportate da quelli che erano i suoi ricordi passati.
Portare in grembo Eros era stata, per lei, un’esperienza meravigliosa. Di giorno in giorno aveva sentito crescere dentro di sé ogni genere di emozione positiva: amore, gioia, serenità, compassione. Il suo cuore, già dolce come il nettare che deliziava le gole degli Dei a ogni banchetto, durante la gravidanza si era intenerito e colmato di una strana forma di riconoscenza, perché il mondo era bello, gli Dei erano belli, persino i mortali erano belli, e per tutto ciò che la circondava si era sentita follemente grata. E ai suoi sorrisi stupendi, ai sospiri incantati, ai saluti entusiasti il mondo aveva sempre risposto, dilatando la propria bellezza. Al suo passaggio sulla battigia, il mare di Cipro si era tinto d’un blu brillante, come una sconfinata distesa di zaffiri che dalla spiaggia correva fino all’orizzonte. Le farfalle e le colombe – che al suo cospetto erano solite disegnare sinuose curve in aria – avevano cominciato a volteggiarle intorno alla vita, quasi desiderassero salutare la creatura che riposava nel suo ventre, e le loro ali le avevano più volte fatto il solletico. E i fiori erano sbocciati una seconda volta, malgrado avessero perso i petali e fossero prossimi alla morte, e chi si stava prendendo a male parole per le vie – uomini o donne che fossero – al suo passaggio aveva immediatamente perduto la voglia di litigare, e lei si era sentita felice e fortunata e orgogliosa, perché sapeva che stava per dare alla luce un bambino che avrebbe cambiato in meglio il mondo intero. Un bambino speciale, che avrebbe portato amore e passione e desiderio nei cuori di Dei e Uomini, più amore di quanto lei potesse donare loro nel corso della propria vita immortale. E tutto ciò che aveva pensato e sentito, riguardo a quel figlioletto di Ares, era accaduto, senza l’ombra di una delusione.
Sospirò, continuando ad accarezzarsi la pancia. Era certa che quella nuova gravidanza le avrebbe offerto le medesime gioie della gestazione precedente; che la creatura che si stava formando nel suo grembo le avrebbe donato la stessa ubriacatura d’amore, la stessa sensazione di pace cosmica, lo stesso irrealizzabile desiderio di poter fermare il tempo in modo da restare incinta per sempre, per godere giorno e notte di quella squisita ebbrezza esistenziale che Eros, raggomitolato nel suo utero, le aveva infuso nel corpo e nella mente.
Sarebbe stato tutto magnifico. Dopo ciò che aveva vissuto, per la Dea non poteva che essere così.
Ma mentre si godeva il calore dell’acqua e le delicate carezze delle ancelle – che ora le stavano lavando i capelli – nel suo ventre germogliava qualcosa che non avrebbe appagato affatto le sue enormi aspettative di madre. Qualcosa di spaventoso che, di lì a poco, l’avrebbe condotta sul baratro della pazzia.