Silenziosa e dal
passo triste come un'anima appena giunta nell'Oltretomba, Persefone
sfilò tra le ombre dei defunti nell'immensa Prateria degli Asfodeli,
davanti al Palazzo di Ade. L'aria pesante e nebbiosa degli Inferi le
entrava dentro ad ogni respiro, soffocandola di malinconia e
instillandole un persistente desiderio di pianto, perché tutto di
quelle terre così lontane dai verdi e rigogliosi campi della
superficie, ai quali era abituata, odorava di morte: il suolo
grigio e secco, le torbide acque del fiume Stige, il cielo fosco
privo di astri, più simile al fondo di un pozzo maleodorante che a
una bella volta celeste...
Persino il più
insignificante dei dettagli di quel mondo sotterraneo era intriso di
disperazione, quasi i lamenti e le lacrime dei defunti, nel lento
fluire dell'eternità, lo avessero in qualche modo corroso
incupendone l'aspetto.
Ma la Dea, pur
avvertendo gli occhi farsi umidi, ricacciò indietro il desiderio di
cedere alle lacrime e proseguì sul suo cammino.
Da quando Ade
l'aveva strappata dal regno dei vivi sposandola contro la sua
volontà, Persefone aveva cercato conforto nel pianto innumerevoli
volte, e le lacrime erano riuscite per qualche minuto ad alleggerire
il suo dolore perché nel versarle aveva rivolto le proprie preghiere
al padre Zeus affinché intercedesse per lei e la salvasse da
quell'oscuro destino. Ma ora che il suo fato era segnato, ora che
persino sua madre Demetra si era messa il cuore in pace e aveva
accettato quelle circostanze, Persefone sapeva che piangere avrebbe
solamente intensificato la sua sofferenza e null'altro.
Avrebbe passato
sei mesi dell'anno accanto al suo sposo e gli altri sei in
superficie, di nuovo tra le braccia di sua madre.
Così era stato
deciso e lei doveva piegarsi al volere degli Dei.
Doveva essere
forte. Se lo ripeteva continuamente.
Ma accettare quel
destino non era cosa semplice e più il tempo passava più Persefone
aveva l'impressione di essere stata seppellita viva: giovane, bella e
viva, sotto tonnellate e tonnellate di terra dall'odore
nauseante, costretta suo malgrado a farsi del male ricordando con
nostalgia i bei momenti trascorsi alla luce del sole, a raccogliere
fiori e intrecciare coroncine d'edera e biancospino in compagnia
delle sue più care amiche.
Come potrò mai
abituarmi a tutto questo? Come potrò mai amare l'uomo che mi ha
rovinato la vita?
Persa nei suoi
pensieri, Persefone passeggiava tra le ombre decisa a mescolarsi ad
esse e ad avere, seppure per qualche istante, l'impressione di
svanire nel nulla, dimenticata da tutto e tutti. Ma i defunti,
riconoscendo in lei la sposa del Re degli Inferi, le aprivano la
strada con deferenza ed evitavano di incrociare il suo cammino
offrendole più spazio di quanto desiderasse.
Allora lei si
allontanò dalla mischia per ammirarla da lontano e con l'erba ruvida
della Prateria degli Asfodeli a farle il solletico sotto i piedi
scalzi raggiunse un cipresso bianco, a sinistra del Palazzo di Ade.
Ne sfiorò il fogliame con la punta delle dita e lo trovò freddo,
quasi la pianta fosse morta da tempo. Per nulla sorpresa calò la
mano e volse il capo verso le inquietanti ombre ammassate più
avanti.
Il fiume Lete, uno
dei cinque fiumi infernali, lambiva la Prateria degli Asfodeli a sud,
scorrendo alla sinistra del tempio di Ade. Noto a Dei e mortali con
l'appellativo di fiume dell'oblio, attirava le anime dei
defunti col potere delle sue scure acque capaci di cancellare ogni
ricordo dell'esperienza terrena appena conclusa, piaceri e dolori
compresi.
Persefone osservò
in silenzio quelle ombre, chine sulle sponde del Lete, e provò
invidia per loro. In quanto Regina degli Inferi quelle magiche acque
non avrebbero avuto alcun effetto su di lei, se mai avesse avuto il
coraggio di berle.
Ormai questo è
il mio destino... posso solo attendere il trascorrere dei sei mesi...
La fanciulla si
passò una mano sull'addome e sospirò affaticata, come se avesse
camminato per miglia e miglia.
Si sentiva debole:
da giorni aveva perso interesse nei confronti del cibo.
Sedere a tavola
nella grande Sala del Palazzo e cenare con Ade, faccia a faccia con
l'uomo che l'aveva rapita e che ora lei era costretta a chiamare
marito, era un disagio simile a una tortura, una sofferenza
talmente forte da chiuderle lo stomaco e impedirle di mangiare.
Tutto di quei
pasti le era insopportabile: il cibo dei morti, così differente
dalle pietanze calde e saporite che era abituata a mangiare in
superficie; le candele dalle fiammelle tremanti che a fatica
rischiaravano l'ampia e fredda sala; il modo in cui Ade si rivolgeva
a lei tra un boccone e l'altro, evitando di incrociare il suo
sguardo...
Il Dio stava in
silenzio per la maggior parte del tempo, limitandosi a mangiare e
bere con estrema lentezza, e se avesse taciuto per tutta la durata
del pasto forse Persefone sarebbe riuscita a dimenticarsi di lui e a
trovare di nuovo un accenno di appetito. Ma lui le parlava, seppur
raramente, e ogni volta che udiva la sua voce la fanciulla si sentiva
attraversare da un brivido profondo che dalla nuca le correva gelido
giù per la schiena. Non era un fremito di paura né di tristezza,
bensì di rabbia. Un impulso feroce che le faceva prudere le
mani.
Il pranzo è di
tuo gradimento?
Mia cara, sei
così silenziosa...
Dopo cena
potremmo andare a passeggiare fino alle sponde dell'Acheronte, se ciò
ti aggrada...
Non hai toccato
cibo... c'è qualcosa che posso fare per te?
I commenti e le
domande che Ade le rivolgeva mostrandosi interessato a lei e al suo
benessere la facevano infuriare, quasi fossero delle autentiche prese
in giro, e il fatto che non la guardasse negli occhi ma evitasse
volontariamente il suo viso contribuiva ad acuire il nervosismo che
le ardeva dentro e che giorno dopo giorno le sembrava sempre più
difficile da tenere a bada.
Prima o poi
sarebbe esplosa, ne era certa. E raggiunto il culmine della
sopportazione non si sarebbe limitata ad abbandonare la sala
lasciando il marito da solo, com'era solita fare, bensì lo avrebbe
aggredito: non sapeva ancora come, ma era sicura che lo avrebbe
fatto. Non poteva tollerare i suoi tentativi di instaurare una
conversazione amichevole, di circostanza, come se i rapporti tra loro
fossero rosei e lei si trovasse nell'Oltretomba per puro
divertimento, né gli avrebbe permesso in alcun modo di spezzare lo
spesso muro di ghiaccio tra loro, neppure ora che erano ufficialmente
marito e moglie.
Era riuscito a
rubarle la vita e il sorriso, ma non avrebbe mai potuto conquistare
il suo rispetto e men che meno il suo amore. Non glielo avrebbe
permesso.
Una fitta di
dolore, violenta e inaspettata, le colpì lo stomaco e subito
Persefone sentì la testa girare: le anime radunate sulle sponde del
Lete si sdoppiarono e triplicarono, i loro contorni si fecero
confusi. Per qualche istante tutto iniziò a oscillare lungo la linea
dell'orizzonte, quasi l'Oltretomba fosse divenuto un'enorme nave in
balia delle onde del mare.
La Dea mugolò
sofferente. Strizzò le palpebre, le riaprì e i contorni del mondo
iniziarono a tornare al proprio posto. Il capogiro si fece più
lieve, più sopportabile, ma le gambe molli e incerte, sul punto di
cedere, la convinsero che fosse meglio sedersi. E come un ubriaco
alla disperata ricerca di un po' di equilibrio, Persefone le
accontentò scendendo piano a riposare sull'erba di fronte al
cipresso.
Sofferente nel
corpo e nello spirito, chinò il capo: le braccia strette al ventre;
gli occhi socchiusi per la stanchezza e la malinconia; i lunghi
capelli biondi, quanto di più luminoso ci fosse in tutto
l'Oltretomba, che sciolti le contornavano il viso e i seni.
Si chiese quanto
avrebbe potuto resistere così, schiacciata dalla depressione e dal
dolore.
Sei mesi qui...
per tutta l'eternità... perché? Perché proprio io?
Sospirò ancora e
quando l'ennesima boccata d'aria infernale le entrò nei polmoni
sentì riaffiorare la voglia di abbandonarsi al pianto. A fatica la
ricacciò indietro ma una lacrima sfuggì al suo controllo e le
scivolò sulla guancia.
Se solo avesse
potuto si sarebbe lasciata morire di fame senza indugio, ma ciò era
impossibile: in quanto Regina degli Inferi il destino l'aveva
crudelmente privata della possibilità di togliersi la vita, ma
Persefone era decisa a sfidarlo lo stesso. Non sarebbe morta, ne era
consapevole, ma come un bel fiore strappato alla terra sarebbe
appassita, istante dopo istante, giorno dopo giorno, e
nessuno, neppure lei stessa, avrebbe potuto impedire che ciò
avvenisse.
Lo stomaco,
stremato dal lungo digiuno, fu colpito da un'altra fitta e la
fanciulla sentì la debolezza affuscarle la mente. Si portò una mano
alla fronte e scoprendola fredda e sudata chiuse gli occhi,
sforzandosi di dimenticare i propri tormenti e l'inquietante mondo
sotterraneo nel quale era intrappolata.
«Persefone...»
Una voce le
sussurrò alle spalle e d'istinto la giovane si voltò, pur sapendo
bene chi la stesse chiamando.
Era Ade, signore
degli Inferi.
Persefone scrutò
in velocità la sua tetra figura e subito volse il viso dalla parte
opposta, con evidente fastidio.
Il Dio sorrise
nervosamente, per nulla stupito da quella reazione. Si passò una
mano sul torace, a lisciare la lunga tunica nera dalle rifiniture
color oro, quasi volesse presentarsi al meglio agli occhi della
moglie. Si schiarì la voce e chinò di poco il busto verso di lei,
seduta davanti all'alto cipresso.
«Persefone...?»
chiamò di nuovo, col tono incerto di chi teme di non essere stato
udito.
La Dea si voltò
di scatto, furibonda come una gatta a cui avessero appena tirato la
coda. «Io non mi chiamo Persefone!» ruggì addosso al
marito. «Il mio nome è Kore! KORE!»
Il sorriso di Ade
si fece più teso, la sua postura più rigida. Si era tristemente
abituato alle lacrime della moglie ma i suoi scatti d'ira erano una
novità, qualcosa che non era ancora in grado di gestire
adeguatamente. Sapeva che la Dea non amava il nuovo nome acquisito
dopo le nozze e che faticava a lasciarsi alle spalle Kore, il
suo nome terrestre, e sebbene non comprendesse il motivo di tanta
reticenza Ade aveva deciso di non farle alcuna pressione a riguardo.
«Mia cara...»
disse chinato col busto verso di lei. «Ti senti male?»
Irritata da quella
domanda, che considerata la sua drammatica situazione le sembrò
alquanto inopportuna, Persefone si voltò di nuovo dalla parte
opposta: lo sguardo affilato e cupo; la bocca stretta in una linea
sottile e austera.
Non rispose,
decisa ad ignorare il più possibile il consorte, e Ade accolse il
suo silenzio con gran pazienza facendo correre lo sguardo sulle ombre
radunate nei pressi del Lete. Si accarezzò la barba, un po' a
disagio per i modi freddi della moglie, poi tornò a rivolgersi a
lei.
«Sei debole...»
le disse a bassa voce ammirandola a distanza, ora che era voltata e
non lo guardava. «Temo che tu non stia mangiando a sufficienza... e
questo mi spaventa...»
Persefone gli
lanciò un'occhiataccia obliqua. La preoccupazione di Ade nei suoi
confronti invece di lusingarla la faceva irritare. «Non dire
sciocchezze!>> esclamò. <<Cosa mai mi potrebbe capitare?
Non mi è concesso il lusso di morire.»
«È
vero. Non puoi morire. Ma puoi soffrire molto...» Il
sorriso nervoso di Ade sparì, i suoi occhi si fecero più bui. Amava
Persefone e vederla così debole, quasi incapace di reggersi in
piedi, lo faceva stare male. «Mangia qualcosa. Ne hai bisogno...»
«Vattene»
rispose secca lei, offrendogli di nuovo le spalle.
«A-ascolta...»
«Vattene.»
Ade sospirò
pesantemente, colpito da quel tono duro che non accettava alcuna
replica, e senza dire più una parola si girò e si allontanò lento
in direzione del Palazzo.
Persefone attese
qualche minuto, infine si voltò per accertarsi di essere davvero
rimasta sola, e quando vide che del marito non vi era più traccia
tornò a perdersi nella propria malinconia. Poggiò il viso sulle
ginocchia e chiuse gli occhi, stordita dalla debolezza e dai pensieri
più cupi, e si lasciò dominare da un dolce torpore: qualcosa a metà
strada tra il sonno e la veglia.
Rimase così per
un lasso di tempo che non avrebbe saputo definire, fino a quando una
voce le sfiorò le orecchie come una carezza, riportandola in sé.
«Cara...»
La fanciulla aprì
gli occhi a fatica. Le palpebre sembravano pesare come macigni, la
testa aveva ripreso a girare. Sollevò la testa e guardò oltre le
proprie spalle, in direzione della voce.
Era di nuovo Ade.
Nella nebbia degli
Inferi e della propria confusione mentale Persefone intravide la sua
sagoma, a pochi passi da sé: il capo lievemente chino, il sorriso
insicuro, lo sguardo che faticava a fissarsi nei suoi occhi. Il Dio
aveva le mani dietro la schiena ma lei non notò questo dettaglio, e
quando lui le fu accanto lo ignorò, tornando a concentrare la
propria attenzione sulle anime intente ad abbeverarsi sulle sponde
del Lete.
Ade si schiarì la
voce: lo faceva spesso prima di parlare con la moglie, nel tentativo
di dissipare il fastidioso nervosismo che come una densa colla pareva
bloccargli le parole in gola. Fece per dire qualcosa ma Persefone lo
anticipò.
«Ti avevo detto
di andartene.» disse la Dea con voce stanca ma dura a sufficienza da
intimorire chiunque. «Desidero stare da sola. Perché mi tormenti in
questo modo?»
«Io... ti ho
portato una cosa...» Ade distese il suo sorriso cercando di
mostrarsi caloroso, ma i suoi occhi tristi e sfuggenti rivelavano
l'incertezza che gli fremeva dentro. Estrasse una mano da dietro la
schiena, nella quale reggeva una mela d'un verde invitante. La
porse alla moglie. «Bella, vero? A casa ne ho un cestino colmo.
Prendila, te ne prego. Hai bisogno di mangiare, lo vedo dal tuo
viso...»
Gli occhi di
Persefone si posarono sul frutto davanti a sé.
Era una mela tonda
e lucida: cibo dell'Oltretomba ma bella come quelle che maturavano ai
raggi del sole e che lei adorava mangiare. La ammirò ancora qualche
istante, poi allungò la mano e la prese.
Immediatamente il
viso di Ade si illuminò, più per la sorpresa che per la
soddisfazione di essere riuscito nel suo intento: non si era
aspettato di vedere la moglie accettare quel piccolo dono, gelida
com'era nei suoi confronti, e provò grande piacere nel realizzare
d'essersi sbagliato.
Ma non fece in
tempo ad assaporare quelle tiepide e gradevoli sensazioni che la
situazione si capovolse all'improvviso.
Con violenza
Persefone gli scagliò addosso la mela colpendolo in pieno petto e
subito Ade sobbalzò per il dolore: duro quanto un sasso, il frutto
lo raggiunse alla bocca dello stomaco mozzandogli il fiato e
strappandogli un lamento simile a un rantolo.
«Ogh...»
Il Dio si
accartocciò, portandosi la mano all'addome nel punto dove era stato
colpito. La lunga coda di capelli neri strisciati di grigio gli
dondolò accanto al viso contratto in una smorfia sofferente.
Come se nulla
fosse Persefone si voltò, riprendendo a ignorarlo. Non disse nulla:
quel gesto era stato più espressivo di mille parole e non vi era
bisogno di aggiungere altro.
Svanito lo stupore
e con lo stomaco ancora dolorante, Ade si lasciò sfuggire una
risatina che attirò l'attenzione della fanciulla, spingendola a
girarsi di nuovo. «T-temevo che avresti reagito così...» mormorò
continuando a massaggiarsi il torace. «Per questo ne ho portate
due...» Il Dio estrasse l'altra mano da dietro la schiena e porse
alla moglie una seconda mela, verde e brillante come quella che ora
giaceva ammaccata sull'erba. «Ti prego, accettala. Hai
bisogno di mangiare...»
Impressionata da
tanta insistenza, la giovane Dea guardò il marito negli occhi e per
la prima volta i loro sguardi rimasero intrecciati. Si aspettò di
provare fastidio, odio e rancore e di sentir nascere in sé il
desiderio di accettare quella mela e lanciarla con tutte le sue forze
in faccia all'uomo che aveva osato trascinarla in quel luogo orrendo
privandola della voglia di vivere, ma ciò non accadde.
Per la prima volta
Persefone provò per Ade qualcosa di diverso dall'astio:
qualcosa che riuscì a rendere più sopportabile il suo dolore
e a farla sentire meglio, e questo insolito sentimento la confuse.
Posò gli occhi
sulla mela che lui le stava offrendo con così tanta tenacia e la
prese.
Ade sorrise ma con
meno entusiasmo rispetto a poco prima, e istintivamente si portò
entrambe le mani all'addome temendo un altro rifiuto. Persefone
percepì la sua ansia e arricciò un angolo della bocca in un
impercettibile sorriso, stuzzicata da quel timore. Sollevò la mela e
finse di gettarla addosso al marito, che subito si irrigidì. Poi,
senza dire nulla, se la portò alla bocca e la morse.
«Ah...haha...»
Ade ridacchiò nervosamente, disorientato dal comportamento della
moglie, sempre più imprevedibile. Tornò a guardare le ombre
radunate sul fiume e si strinse nelle spalle, pensieroso. Con la coda
dell'occhio vide che Persefone stava mangiando la mela, seppure con
estrema lentezza, e pensò che fosse meglio lasciarla sola. Si
schiarì la voce un'ultima volta, mormorò qualcosa in segno di
saluto e si voltò, deciso a tornare a Palazzo.
«Aspetta»
Il Dio si bloccò
e di nuovo si girò verso la moglie, servizievole quanto uno schiavo.
«Dimmi, mia cara. Cosa posso fare per te?»
«Perché?»
domandò Persefone senza staccare gli occhi dal frutto e la sua voce
suonò cupa e malinconica quanto i lamenti dei defunti confinati nel
Tartaro, la regione più scura e macabra dell'Oltretomba, incapaci di
rassegnarsi al proprio destino. «Perché mi hai fatto questo?»
Gli occhi di Ade
si fecero più tristi, il sorriso premuroso scomparve. Sapeva di non
essere in grado di trovare qualcosa di soddisfacente da dire;
qualcosa che non suonasse come una sciocca giustificazione capace
solamente di intensificare l'odio che Persefone già nutriva per lui,
perciò rispose con un sofferto silenzio, non potendo fare
altrimenti.
La fanciulla lo
guardò e i loro sguardi si incontrarono ancora, ma stavolta gli
occhi di Ade fuggirono, colpevoli come quelli di un assassino. E in
quel momento Persefone capì che il Dio non aveva alcuna intenzione
di replicare alla domanda e il suo persistente silenzio la offese,
sicura com'era di avere diritto a delle spiegazioni.
Sospirò seccata
palesando tutta la propria irritazione e tornò a dargli le spalle.
Con poco entusiasmo si portò la mela alla bocca e le diede un altro
morso, riprendendo a fare finta che il marito non esistesse.
Ade percepì
all'istante quella chiusura e se ne rammaricò.
Desiderava
alleviare le sofferenze della moglie ma sentiva di non esserne capace
né di avere davanti a sé una fanciulla disposta ad accettare i suoi
goffi tentativi di risollevarle il morale. Avrebbe dovuto lasciarla
perdere e concederle altro tempo, altre ore di solitudine, altro
spazio per riflettere e imparare a rassegnarsi all'inevitabile:
sapeva che era quella la scelta più saggia per entrambi, la più
indolore.
Ma quando fece per
ritirarsi offrendole la schiena, il Dio si sentì travolgere da un
moto improvviso di attaccamento nei suoi confronti: un'emozione
penetrante, impossibile da ignorare, che gli fece desiderare la
compagnia della Dea più di qualsiasi altra cosa al mondo e a
qualsiasi condizione.
Rabbia, rancore,
odio... nessuno dei neri sentimenti che Persefone covava nel cuore a
causa sua, neppure il più truce, gli sembrò avere più importanza.
La voleva con sé.
Voleva sentirla vicina.
Allora, stando
attento a non sfiorare in alcun modo il suo corpo, scese lento a
sedersi accanto a lei sull'erba.
Immediatamente
Persefone inclinò il busto dalla parte opposta, indispettita dal
comportamento del consorte ma per nulla stupita. Si portò la mela
alle labbra dandole un altro morso e d'istinto si strinse nelle
spalle in posizione di difesa: quella vicinanza la faceva sentire
inquieta.
Con discrezione e
senza farsi notare, approfittando del fatto che il viso della moglie
fosse rivolto dalla parte opposta, Ade scrutò il suo fragile corpo e
ripensò a quando l'aveva stretto con brutalità il giorno che era
salito in superficie per rapirla e trascinarla nell'Oltretomba con
sé. Non ricordava molto di quei momenti concitati, quasi fossero
avvolti nella nebbia, ma le grida di Persefone e la resistenza che
aveva opposto spinta dalla disperazione le ricordava alla perfezione.
Le aveva fatto
male: per tenerla ferma e impedirle di fuggire le aveva stretto con
violenza un braccio e lei aveva pianto, straziata dalla paura e dal
dolore. E il livido causato da quella stretta non era ancora svanito
dalla sua bianca pelle e quando Ade lo vide distolse lo sguardo,
quasi quella visione gli fosse insopportabile.
«So bene che mi
odi» mormorò con un mezzo sorriso, per nulla provocatorio. «Non
l'hai mai dichiarato a parole, certo. Ma il tuo astio per me è
palpabile, così come lo è la tua collera. Lo comprendo... e
rispetto il tuo dolore...»
Persefone chiuse
gli occhi: le parole del Dio, invece di irritarla, riuscirono chissà
come a stimolare il desiderio di pianto che continuava a formicolarle
dentro. Poggiò a terra la mela, ormai ridotta a torsolo, e a fatica
si voltò verso il marito e ne rimirò il viso.
Era un uomo
dall'aspetto maturo, il più anziano tra i figli di Crono e Rea, e il
suo volto era ombroso e triste: il tipo di volto che mai avrebbe
potuto conquistare l'attenzione di una fanciulla come lei, attratta
dalla bellezza dei giovani della superficie dal corpo atletico e il
sorriso solare, capaci con un solo sguardo di farla arrossire.
Ade percepì i
suoi occhi addosso, troppo pesanti per poter essere ignorati, e la
guardò in silenzio. E scrutando lo scuro viso del suo sposo,
Persefone pensò con fermezza che se solo avesse potuto non avrebbe
mai sposato quell'uomo. Quello non era, e non sarebbe mai stato, suo
marito; quello che fin da quando era bambina aveva sognato di
avere accanto a sé ogni giorno e notte della sua vita, al quale
avrebbe dato con orgoglio figli e figlie, e per il quale avrebbe
fatto qualsiasi cosa, anche la più folle, perché perdutamente
innamorata.
Non era l'uomo dei
suoi sogni.
Era il suo
rapitore e lei non avrebbe mai potuto accettarlo.
Eppure faticava a
dar libero sfogo all'astio che era certa di provare per lui, quasi i
suoi modi servizievoli e premurosi fossero davvero riusciti in
qualche modo a placarla. Era gentile, non poteva negarlo. E sebbene
dormissero insieme dal giorno in cui l'aveva trascinata negli Inferi,
il Dio non aveva ancora tentato un approccio sessuale, limitandosi a
dormirle accanto quasi non gli premesse di consumare fisicamente il
loro matrimonio, e di questo Persefone gli era grata. La violenza del
rapimento l'aveva convinta da subito che fuggire agli abusi sessuali
da parte sua sarebbe stato impossibile e che lei, debole e fragile
fanciulla, non avrebbe potuto far altro che rassegnarsi ad essi. Ma
Ade l'aveva stupita mostrandosi insolitamente rispettoso e ora, occhi
negli occhi con lui, Persefone non poté far a meno di chiedersi che
razza di sentimenti celasse nel cuore.
«Non puoi avere
il mio amore» disse gelida spezzando il silenzio. Fu certa che il
Dio avrebbe distolto lo sguardo, colpito dalla durezza di quelle
parole, ma lui continuò a guardarla e accennò un amaro sorriso,
quasi si aspettasse un commento del genere. «Io non ti amerò mai»
continuò la Dea. «Perché mi hai trascinata qui? Per
gustarti il mio odio e la mia sofferenza? Che piacere potranno mai
darti?»
Ade scosse la
testa. «Oh, fanciulla mia... non riesci proprio a capire...»
«No! Non
capisco!» Persefone gli lanciò un'occhiata esasperata.
«Dividere l'eternità con una moglie rancorosa e ostile... perché,
Ade? Perché causare sofferenza a entrambi? Sciocco e crudele!
È questo ciò che sei!»
«Non ho avuto
scelta...» Il Dio le sorrise, intenerito da quelle parole che invece
di ferirlo gli fecero brillare per un momento i grigi e malinconici
occhi. Avvicinò piano una mano al viso della moglie, spinto dal
desiderio di accarezzarla, ma all'ultimo la ritirò come intimorito
dalla sua possibile reazione. «Dovevo averti con me, non ho potuto
resistere...»
«Bieco
egoismo...» Persefone sibilò disgustata. Sentì le mani prudere
e un'improvvisa fiammata di rabbia scaldarle il petto: la voglia di
prendere furiosamente a schiaffi il marito fino a farlo cadere
davanti a sé, a implorarla di fermarsi.
Ade avvertì
quella vampata di collera, bruciante come il fuoco, e la accettò
senza remore. «Mia bella regina, colpiscimi se lo desideri. Non aver
timore, non alzerò un solo dito su di te...»
Persefone percepì
gli occhi farsi umidi, il cuore tuonarle tra le costole. Volse il
capo, incapace di sostenere ancora lo sguardo del marito, così
spietatamente disponibile nei suoi confronti, e sentì l'ira
sciogliersi come neve al sole. Si illudeva di esserne in grado ma
dentro di sé sapeva che non sarebbe riuscita a picchiarlo: era una
fanciulla dall'animo buono, incapace di cedere al richiamo della
violenza, e l'avergli scagliato la mela addosso poco prima era stato
il massimo della brutalità alla quale poteva aspirare.
Socchiuse gli
occhi, confusa da quel turbinio di emozioni, e tacque. La voglia di
piangere era ancora là, in fondo alla gola, difficile da controllare
come una nausea persistente.
«Non è
facile...» mormorò a fior di labbra Ade, quasi riflettendo fra sé
e sé, e si affrettò ad aggiungere: «Regnare sull'Oltretomba...»
Persefone ascoltò
la sua voce, non potendo fare altrimenti, e non disse nulla.
«Sai... non è
stata una mia decisione. Il destino mi ha condotto qua, in queste
lande nebbiose, e come tuo padre Zeus ha accettato il dominio dei
cieli e della terra, io ho dovuto
fare la mia parte e
accettare il trono degli Inferi.» Ade si lasciò sfuggire una
risatina nervosa, nel tentativo di addolcire quelle parole che era
certo avrebbero rabbuiato ancora di più l'umore della moglie. «In
fondo non è così male... una volta che ci si abitua...»
Persefone tornò a
guardare le anime dei defunti radunate sulle sponde del Lete, chine a
bere quelle magiche acque capaci di lavare la memoria così come si
lava un panno sporco. Strinse le labbra chiedendosi come ci si
potesse abituare a un simile, inquietante spettacolo e non seppe
rispondersi.
«L'oscurità del
Tartaro, i lamenti dei dannati, l'aria fosca e pesante che dallo
Stige giunge fino a qua, ad avvolgere questa placida prateria... Ci
si abitua, mia dolce moglie» continuò Ade. «Ci si abitua ad ogni
particolare e questo mondo ti entra dentro e inizia a far parte di
te. Ma la solitudine...» La voce del Dio si incrinò, piegata
dal peso delle emozioni.
Persefone lo
guardò, colpita da quell'accenno di sofferenza, e subito lui si
sforzò di sorriderle ma non vi riuscì.
«La solitudine è
un'ombra che non ti abbandona mai. La porti con te ed essa riposa
silente nel tuo cuore facendoti sentire forte, capace di resisterle.
E vi riesci. Riesci a resisterle, fino a quando i tuoi occhi si
posano su una meravigliosa creatura che spensierata raccoglie
margherite e fiordalisi su un prato, e al pensiero di lasciarla e di
tornare nelle viscere della terra ti senti impazzire dal dolore...»
Ade si portò una mano alla fronte e il suo viso si fece più buio.
Tacque qualche istante poi, senza più guardare la moglie, aggiunse.
«Non ho potuto resisterti... è stato tutto più forte di me.»
«Ma non mi hai
mai... t-toccata...» Persefone sussurrò timida, confusa
dall'atteggiamento del Dio e frenata dal suo stesso pudore. «Io e
te... ecco...»
Ade scosse la
testa. Si schiarì di nuovo la gola, un po' imbarazzato. «Oh, io ti
desidero. Non lo posso negare, sarebbe una menzogna. Ma non ti ho
voluta con me per mera lussuria. No, non è stato questo. Ti ho
voluta perché... ti amo....» Il Dio rivolse alla fanciulla
un'espressione ambigua, tra la dolcezza e la malinconia. «Dolce
Kore...»
Nell'udire il
marito chiamarla col suo nome terrestre Persefone ebbe un fremito.
«Credimi, io ho
bisogno di te...» continuò Ade, ormai incapace di dare un freno
al proprio flusso di emozioni. «Non m'importa se mi odi, se vuoi
colpirmi e sputarmi addosso o se passerai l'eternità intera a
maledire il mio nome. Ti concederò qualsiasi sfogo, anche il più
violento, e continuerò a guardarti come se fossi il fiore più
splendido mai sbocciato su questa sterile terra infernale. Perché
ora tu sei qui, vicino a me, ed è questo ciò che conta.» Il Dio
fece una pausa poi aggiunse. «Il tuo odio è per me un dono
prezioso. Un sentimento intenso che non avrei mai creduto di
meritare.»
Nell'udire quelle
parole Persefone sentì il cuore stringersi come uno straccio umido.
Scrutò i grigi occhi di Ade e per la prima volta riuscì a guardare
oltre al suo egoismo, oltre al muro di diffidenza e astio dietro al
quale si era protetta per difendersi e allontanarsi da lui, e ciò
che trovò dall'altra parte la lasciò atterrita.
Dolore.
Profondo e nero
quanto le torbide acque dello Stige.
E persa in quegli
occhi ombrosi dai quali ora le pareva impossibile riuscire a
staccarsi, Persefone assaggiò la solitudine del Dio, quell'acuta
sofferenza che come un morbo lo aveva tormentato fino al momento in
cui si era innamorato di lei trovando in quell'amore un po' di
sollievo, e si lasciò sopraffare dalla compassione.
Non aveva sposato
un uomo crudele, ma un uomo solo.
Una povera anima
straziata dal peso di un destino beffardo, dal quale non le era
concesso fuggire.
Una vittima, come
lei.
La Dea si portò
una mano al petto e scoprì il cuore battere all'impazzata: l'empatia
e la pena per il marito si unirono alla disperazione che da tempo
covava dentro e la infiammarono. Capì che stavano soffrendo entrambi
quando invece avrebbero potuto sostenersi, abbracciarsi, confortarsi,
e stremata dalla voglia di accantonare ogni rancore, tanto il suo
animo era puro e innocente, e di tentare di avvicinarsi a quel Dio
dagli occhi tristi ma dal cuore innamorato, Persefone si arrese alla
commozione e scoppiò in lacrime.
Sorpreso da quel
pianto inaspettato, d'istinto Ade fece per sfiorare la moglie, mosso
dal desiderio di calmarla. Ma certo che sarebbe presto fuggita a
versare le sue lacrime in solitudine, come aveva sempre fatto in
passato, il Dio desisté e amareggiato si strinse nelle spalle, senza
fare né dire nulla.
Ma Persefone non
scappò. Con il viso nascosto tra le mani poggiò piano il capo sulla
spalla del marito, in cerca di conforto e consolazione.
Ade sussultò,
colpito da quel gesto. Mai avrebbe creduto che Persefone potesse
avvicinarsi a lui spontaneamente e con una tale irresistibile
dolcezza, e subito si lasciò conquistare dal profumo dei suoi
capelli: quell'odore di sole, fiori di campo e giovane donna del
quale gli era concesso godere solamente la notte, quando lei, a
debita distanza, si addormentava nel loro talamo nuziale. Chiuse gli
occhi respirandolo a pieni polmoni, infine sollevò un braccio e
strinse a sé la moglie, e quella vicinanza così intima gli scaldò
il cuore donandogli un piacere feroce, mai provato prima.
Persefone, avvolta
nell'abbraccio del marito, nascose il viso tra le pieghe della sua
tunica e la bagnò di lacrime, incapace di fermarsi. Sentì la mano
di lui sfiorarle timidamente i capelli: il tocco insicuro di chi ha
paura di fare troppo forte e quelle carezze impacciate spazzarono via
ogni traccia d'astio dal suo animo.
Pianse, per se
stessa e per il suo triste sposo, fino a quando un soffice senso di
appagamento le pervase il corpo e la mente: un miscuglio di
stanchezza e placida serenità. Si asciugò una guancia col dorso
della mano mentre Ade continuava ad accarezzarle la testa attendendo
con pazienza la fine di quello sfogo, poi sollevò il capo e lo
guardò, scossa da sporadici singhiozzi.
Ancora stretto a
lei, il Dio ammirò il suo bel viso lucido di lacrime: la guance
rosse e umide, le labbra socchiuse per i singhiozzi, gli occhi grandi
e brillanti dalle ciglia nere come la notte. Le rivolse uno dei suoi
soliti sorrisi incerti, che tanto contrastavano con lo sguardo
ombroso e cupo. «O tenera Kore... anche quando piangi sei
bellissima...»
Persefone abbozzò
un debole sorriso, senza neppure rendersene conto. «No...» mormorò
con un filo di voce, provata dal pianto. «Chiamami Persefone...»
Ade la guardò con
solennità. «Persefone...» ripeté più innamorato che mai. «La
mia Regina...»
La Dea annuì
tornando ad appoggiarsi sul suo petto in cerca di affetto e subito
Ade la strinse più forte, quasi temesse che gli sfuggisse via come
aveva tentato di fare la prima volta che l'aveva stretta tra le
braccia.
Ma ora tutto era
cambiato.
Ora erano uniti.
E abbracciati
l'uno all'altra nella nebbiosa Prateria degli Asfodeli, i due sposi
si lasciarono conquistare dal calore di quell'amore nero e
malinconico, che pochi avrebbero potuto comprendere ma che loro
accolsero come il più prezioso dei tesori.
E nel fratempo dall'oltre tomba tutte le anime iniziano a fischiare "vaii adee"è bellissimo complimenti vivissimi :) mi hai fatto emozionare ^^
RispondiEliminaSe solo sapeste quanto a fondo io riesca a comprendere tutto questo. Stupendo, bellissimo, meraviglioso ed emozionante.
RispondiEliminaMi sono emozionata così tanto che ho quasi pianto.
RispondiEliminaI sentimenti che trapelano da queste parole sono davvero intensi!
Bellissimo pezzo, non c'è che dire~
scrivi in modo divino
RispondiEliminaMi hai scaldato il cuore, grazie!!!
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaSempre bello il mito di Persefone e Ade, bello anche come hai rivisto la storia. Scorre bene il racconto, complimenti :)
RispondiEliminaBellissimo sul serio.
RispondiEliminaVeramente meraviglioso!
RispondiEliminaho ancora il batticuore mamma mia che meraviglia
RispondiEliminaIl mito di Ade e Persefone è sempre stato il mio preferito...questo racconto è una rappresentazione perfetta di quello che spesso ho immaginato tra loro, di come fosse il loro amore. Splendido, emozionante, da brividi...mi hai commossa. :'-)
RispondiEliminaHo pianto... Meraviglioso
RispondiEliminaMamma mia, ho le lacrime agli occhi!
RispondiEliminaQuesto è il mio mito preferito in assoluto e il modo in cui hai narrato la loro vicenda è toccante da morire.
Adoro il modo in cui hai descritto Persefone: lei è rancorosa nei confronti del marito che l'ha strappata alla vita - e chi non lo sarebbe? - ma finisce poi con lo sciogliersi di fronte alla sincerità di Ade.
E lui, Ade, il potente signore dell'Averno... lui è la dolcezza fatta a persona, esattamente come l'ho sempre immaginato: innamorato della sua sposa, al di là del rapimento, lui la rispetta, la venera... Per lui c'è solo lei, e non potrebbe più fare a meno di quella sposa così amata.
Complimenti per la splendida storia *^*, sono davvero colpita!
Ti ringrazio, sono contenta che tu abbia apprezzato! Anch'io trovo interessanti loro come personaggi e come coppia, sono complessi eppure anche equilibrati... oltre che innamorati, ovviamente, nonostante il tutto sia iniziato con un rapimento. Più avanti scriverò di sicuro qualche altro racconto su di loro :)
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaMi ha commossa, non sono riuscita a trattenere le lacrime. Bellissima.
RispondiEliminaI tuoi racconti sono fantastici e, sebbene questo sia solo il secondo che leggo, non posso fare altro che farti i miei complimenti!
RispondiEliminaScrivi e descrivi divinamente!
Vorrei chiederti se posso postare questo tuo racconto su un forum, ovviamente mettendo il link dell'originale. Se non me lo concedi, non lo farò.
Grazie dei complimenti! E sì, mettendo il link originale puoi postare il racconto dove vuoi :)
EliminaOddio! È la prima volta che leggo una tua storia e mi è piaciuto moltissimo! Grazie a te, e ha i tuoi disegni mi sono innamorata di questo mito! Grazie per il tuo lavoro e spero che la tua pagina di Facebook che il tuo blog, crescerà ancora di più!
RispondiEliminaE spero, di una futura storia su come hanno consumato... ;)
I miei complimenti!
Ottimo lavoro..... Riuscite sempre ad Intenerirmi Ade
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