Sopra l'isola di Nasso, verde
gioiello nel cuore del Mediterraneo, le nuvole scorrevano lente nel cielo del
pomeriggio, sfiorando col loro tocco ombroso ogni dettaglio di quella natura
incontaminata: le coste rocciose del nord, a picco sul mare; le colline ricche
d'acqua che dall'interno sfumavano ad ovest in vaste pianure; le spiagge di
sabbia color avorio, fini e soffici come farina. E gli ulivi, i cedri, i faraglioni,
le cave di marmo, i sentieri battuti dalle bestie selvatiche... Su ogni zona
dell'isola di tanto in tanto calava un velo d'ombra che ne spegneva i colori,
ma pochi minuti dopo le nubi spinte dal vento proseguivano il proprio cammino
lasciando che la luce del sole tornasse a baciare la terra, e tutto si faceva
di nuovo splendido, caldo, intenso.
Era una di quelle placide giornate
in cui è gradevole sdraiarsi sull'erba a interpretare la forma delle nuvole; in
cui quasi si avverte il bisogno di abbandonare ogni attività e concedersi il
lusso di perdere un po' di tempo all'aria aperta, senza pensare più a nulla.
Ma a Nasso a godere del calore del
primo pomeriggio furono solo le lucertole, uscite dai propri nascondigli tra le
pietre per scaldarsi e rinvigorirsi, e nessuna voce d'uomo né risata di bambino
si intromise in quel particolare sottofondo fatto di canti di cicale,
sciabordio d'onde sul bagnasciuga e richiami di gabbiani.
L'isola era completamente deserta.
Una perla di rara bellezza che
nessun mortale mosso da ambizione aveva ancora reclamato come suo possedimento,
e che proprio per questo vantava il fascino tipico delle terre vergini e
selvagge.
Eppure a Nasso qualcuno
c'era: una presenza discreta e silenziosa, quasi impercettibile alla vista,
come fosse divenuta anch'essa parte dell'ambiente che l'avvolgeva.
Era una fanciulla.
Giaceva addormentata su una delle
lunghe spiagge bianche che cingevano la costa occidentale, e a vederla così,
sdraiata sul fianco col corpo snello accarezzato ora dal sole ora dall'ombra,
sola in mezzo al nulla, chiunque, anche il più impassibile tra gli uomini,
avrebbe spalancato la bocca e dubitato dei proprio occhi.
Era come un'apparizione, una
figura incantevole che pareva esser stata partorita con dolcezza dal mare e
lasciata là, sulla candida spiaggia, in attesa d'essere scoperta e destata con
un bacio.
Ma la giovane non era un dono
delle onde bensì una creatura mortale, le cui vesti dalle bordature in oro e la
pelle diafana ne rivelavano la natura nobile.
Era Arianna, principessa di Creta.
Riposava sull'ampio himation di
lana che Teseo, il suo amato, si era sfilato di dosso non appena erano sbarcati
a Nasso, distendendolo a terra in modo che lei potesse sdraiarsi sulla spiaggia
senza che la bella tunica le si riempisse di sabbia. La sua espressione era
rilassata, il sonno profondo e appagante; un sonno denso di sogni ed emozioni,
che come neve al sole si stava a poco a poco sciogliendo, tanto che la
fanciulla iniziava a percepire in lontananza il profumo dell'eroe di cui l'himation
era pregno: una fragranza maschile che sapeva di sale e pregiati oli per il
corpo, l'unico profumo che avrebbe mai potuto emanare un giovane principe che
sfidando la morte si era ricoperto di gloria e che ora, a testa alta e col cuore
traboccante d'orgoglio, trascorreva le giornate a navigare per il mare in
direzione di casa, impaziente di diffondere la propria leggenda.
Teseo era un ambizioso, un
guerriero dall'animo impavido che la natura aveva dotato di notevole fascino,
oltre che di gran coraggio e ardore, e Arianna lo amava.
Lo aveva amato dal primo momento
che aveva incrociato i suoi occhi bruni a Creta, poco prima che entrasse nel
Labirinto di Cnosso, e pazza di lui aveva fatto il possibile per salvarlo da un
destino infausto. Sapeva che, in quanto erede al trono di Atene, Teseo era
venuto per uccidere il Minotauro, l'orrendo mostro metà uomo e metà toro che
viveva rinchiuso all'interno del labirinto e che da anni, con la piena
approvazione di Minosse, Re di Creta, si cibava di fanciulli appositamente
inviati dalla città attica, suo malgrado sottomessa ai cretesi, così come
sapeva che non sarebbe mai stato capace di trovare da solo l'uscita del
labirinto, se anche fosse riuscito ad avere la meglio sulla bestiale creatura.
Quello di Cnosso era un labirinto
fitto, un'opera d'incredibile ingegno da cui solo Dedalo, il suo costruttore,
sarebbe stato capace di uscire. Ma Arianna, che vantava una mente altrettanto
brillante e un cuore innamorato che l'avrebbe spinta a fare qualsiasi cosa,
aveva escogitato in tutta fretta un sistema per permettere all'amato di
ritrovare la via d'uscita: sarebbe bastato un gomitolo di lana, che srotolato
durante il percorso gli avrebbe impedito di perdere l'orientamento e gli
avrebbe fatto raggiungere in pochi minuti l'unico sbocco del labirinto, che era
entrata e uscita allo stesso tempo. Un trucco tanto semplice quanto efficace.
E quando il principe era
finalmente uscito, accaldato e sudato per lo scontro con il mostro ma con un
sorriso trionfante a illuminargli il viso, Arianna aveva sentito le gambe
tremare per l'emozione.
Quanto le era sembrato bello,
forte, eroico...
Non aveva avuto bisogno di
palesare a voce il proprio amore per lui: per quanto stremato fosse, Teseo lo
aveva percepito con chiarezza e con l'atteggiamento sicuro, quasi smargiasso,
di chi è abituato da tempo a intrattenersi con le donne, le aveva sfiorato il
mento, sorridendole.
«O Arianna, incantevole figlia di
Minosse» aveva sussurrato, fisicamente attratto dalla graziosa principessa. «Tu
che per aiutare me hai tradito tuo padre e le tue genti, come potrai continuare
a vivere a Creta d'ora in avanti? Il tuo destino è segnato e nulla più ti lega
a questa terra che oramai ti riserverebbe solo ingiurie e umiliazioni. Vieni
con me ad Atene e lascia ch'io saldi il mio debito nei tuoi confronti
offrendoti una vita migliore.»
Arianna, stordita dalla passione
come tutte le fanciulle innamorate, aveva frainteso le parole e il sorriso
dell'eroe interpretandoli a suo piacimento, e immaginandosi già con indosso
l'abito nuziale, stretta al suo braccio, si era portata entrambe le mani al
petto, incapace di trattenere la propria commozione.
«Oh, Teseo! Mio Teseo!» aveva
esclamato con un gridolino di sincero coinvolgimento. «Quanta gioia che mi dai!
Ma non essere ossequiente, te ne prego. Tu non hai alcun debito verso di me,
non pensarlo nemmeno! Mi sono permessa di offrirti il mio aiuto senza alcun
fine, se non quello di vederti uscire dal labirinto tutto intero! La tua
felicità è tutto ciò che mi preme ed è per renderti ancor più felice che
accetto il tuo invito, lasciandomi alle spalle questa vita e offrendoti tutta
me stessa. Sono tua, principe.»
Teseo, che dalla bella Arianna
voleva una cosa sola, aveva disteso il proprio sorriso e stretto a lei aveva
lasciato la città in direzione della bireme, la nave con cui aveva
raggiunto Creta e con la quale avrebbe fatto ritorno navigando verso Atene. E
insieme a lui, oltre alla principessa, sarebbero tornati sul continente anche i
giovinetti ateniesi che quell'anno la città era stata costretta a inviare a
Minosse affinché li sacrificasse al Minotauro, e che ora si prostravano al
cospetto del principe chiamandolo eroe.
«Mia cara, sarà un lungo viaggio.
Mettiti comoda» aveva detto alla fanciulla quando i suoi uomini avevano levato
l'ancora, e la nave, con le vele gonfie di vento e le due file di rematori a
sostenerne i movimenti di manovra, si era allontanata dalle coste cretesi. E
neppure per un istante Arianna si era voltata a guardare ciò che si stava lasciando
dietro, tanto era infatuata del ragazzo e impaziente di divenire sua moglie, e
durante le interminabili giornate assolate che seguirono, trascorse
sottocoperta, anche Teseo aveva mostrato una certa impazienza, sebbene di
tutt'altro genere: un desiderio carnale impossibile da fraintendere, esternato
ad ogni bacio e carezza, che Arianna aveva faticato a tenere a bada.
«O figlio d'Egeo, mio unico amore!
Acquieta il tuo animo, te ne prego. Afrodite sta giocando con noi, scaldandoci
e spingendoci all'unione precoce, ma tu ed io siamo molto più che amanti
frettolosi, pronti a consumare la propria passione su scomodi giacigli con le
grida d'incitamento dei vogatori nelle orecchie...»
«Fanciulla mia, quanto parli!»
aveva replicato Teseo con evidente stizza, tornando a baciarle il collo con
l'impetuosità di chi non è più disposto ad attendere. «In amore non esiste
precocità e la bella Dea lo sa bene. Sei tu, che per pudore o mera ingenuità
stai fraintendendo il suo operato, perciò abbandonati a questa meravigliosa
febbre d'amore che ci sta facendo fremere entrambi e concediti al tuo
principe.»
Ma Arianna, che non aveva alcuna
intenzione di cedere alle lusinghe di Teseo prima delle nozze, tanto meno in un
contesto così squallido, e che quasi aveva iniziato a divertirsi a sfuggire ai
suoi abbracci come una timida ninfa inseguita da un inaspettato corteggiatore,
gli era sgusciata via per l'ennesima volta.
«Pazienta, amor mio!» aveva
esclamato rivolgendogli un delizioso sorriso, poco prima di risalire sul ponte della
nave. «Pazienta ancora qualche giorno e ti prometto che non appena mi porrai
sul capo la corona di fiori d'arancio giacerò con te ogni notte, saziando il
tuo desiderio d'amore come solo una sposa devota sa fare.»
Così dicendo si era voltata, con
le guance lievemente rosse per quei discorsi audaci e lo sguardo voglioso di
Teseo a sfiorarle la schiena e i glutei, e aveva corso leggera sui gradini in
legno tornando sopra coperta. E quella medesima scena, quell'identico copione
si era ripetuto così tante volte che Arianna ne aveva perso il conto.
Quanto mi desidera!
Quanto mi ama!
Lusingata da tante attenzioni, la
principessa si era spesso domandata se sarebbe davvero riuscita a resistere
alle pressioni dell'eroe prima che le coste dell'Attica apparissero
all'orizzonte, o se il fuoco della passione, che tanto sembrava ardere nel
cuore di Teseo, avrebbe avuto la meglio anche su di lei, portandola a cedere
alla voglia di offrirsi al suo uomo là, sottocoperta, tra le riserve di cibo e
acqua, entrambi nascosti nel buio come due fuggiaschi.
Ma a un certo punto sul loro
cammino era apparsa Nasso e la monotonia del viaggio si era spezzata,
obbligandoli a raffreddare i bollenti spiriti almeno per un po'.
Quella sull'isola era stata una
tappa obbligata: i barili d'acqua erano quasi vuoti e occorreva riempirli al
più presto o a bordo, nel giro di un paio di giorni, avrebbero tutti iniziato a
patire la sete, reali compresi.
«Sarà una sosta breve. Le isole
delle Cicladi sono ricche di fonti e ruscelli, non v'è rischio di ripartire a
carico vuoto. Riprenderemo il mare prima del calar del sole, vedrai» aveva
detto Teseo ad Arianna poco prima di attraccare e non ci aveva messo molto a
dimostrare a lei e a se stesso d'essere nel giusto: non appena sbarcati, i suoi
uomini avevano individuato la foce d'un corso d'acqua dolce, e botti in spalla
si erano introdotti nel folto della vegetazione alla ricerca del punto migliore
da cui trarre il rifornimento necessario.
Rimasto in spiaggia con la
principessa e i fanciulli, che subito si erano sdraiati sulla spiaggia
impazienti di godere un po' della terraferma dopo tanti giorni in mare, Teseo
aveva preso la fanciulla per mano e con lei si era allontanato in cerca
d'intimità. E non appena aveva trovato un posto appartato e tranquillo, un
angolino di spiaggia immerso nel silenzio, si era sfilato il mantello e lo
aveva disteso sulla sabbia invitando la giovane a sdraiarcisi su. «Ci vorrà un
po'...» aveva detto scendendo al suo fianco e di nuovo aveva poggiato le labbra
sul suo collo profumato, sperando che lei cedesse alle sue lusinghe ora che
erano finalmente da soli.
Ma Arianna, nonostante i brividi
che per i baci le correvano dalla nuca lungo la schiena, aveva reagito con
dolcezza e fermezza in egual misura, impedendo all'amato di oltrepassare il
limite da lei stabilito.
«O principe dal cuore affamato! Ti
prego, non tentarmi con tal insistenza. Non sulle spiagge assolate di Nasso ma
nell'intimità dei tuoi alloggi ateniesi potrai godere delle mie grazie, non
appena la nobile Signora del Matrimonio avrà benedetto la nostra unione
offrendole stabilità, protezione perpetua e gaudio...»
Teseo, recepito il messaggio,
aveva mutato atteggiamento ed era tornato a offrire alla giovane i propri
spazi, senza però mai staccarsi del tutto da lei: un moto di contegno che
Arianna aveva apprezzato, interpretandolo come un atto di rispetto delle sue
volontà.
E sdraiati l'uno accanto
all'altra, all'ombra delle fronde, i due avevano mangiato frutta e bevuto vino,
attendendo che le operazioni di rifornimento giungessero a termine. Sapevano
che il tutto avrebbe portato via un paio d'ore: le botti da riempire erano
numerose e gli uomini avrebbero dovuto percorrere più volte il tragitto dalla
nave al ruscello e viceversa.
Eppure mai, neanche per un momento,
Arianna aveva intravisto lo spettro della fretta rabbuiare il volto di Teseo
che da subito si era mostrato perfettamente a suo agio su quell'isola
sconosciuta, e lei, complici il vino, la calura e l'espressione pacata del suo
amato, si era rasserenata a sua volta fino ad avvertire le palpebre farsi
pesanti.
«Riposa, fanciulla» aveva
sussurrato lui vedendola stanca, e con quel suo modo di fare un po' sfacciato
le aveva sfiorato il mento. «Ancora dobbiamo attendere prima di poter
riprendere il mare, perciò dormi, se lo desideri. Io resterò accanto a te.»
Arianna, sempre più assonnata, si
era portata una mano alla bocca, a coprire uno sbadiglio, e accoccolata accanto
all'eroe aveva chiuso gli occhi lasciando che il profumo delle sue vesti e del
suo corpo la accompagnasse nel sonno.
Non avrebbe saputo dire con
precisione per quanto tempo era rimasta addormentata, ma quando si ridestò,
ricondotta alla realtà da quel sottofondo odoroso emanato dall'himation di
Teseo, ebbe immediatamente l'impressione che fossero trascorse diverse ore: la
luce era diversa, più intensa e calda, segno che il pomeriggio era giunto da un
pezzo.
Sbadigliò, strofinandosi gli occhi
col dorso della mano, e si distese sulla schiena allungando il braccio accanto
a sé. Solo allora si accorse di essere da sola.
Teseo non c'era più.
Ancora intontita, Arianna si mise
seduta e lanciò un'occhiata intorno, alla ricerca del principe.
Niente.
Solo mare, sabbia e natura
selvaggia.
Si alzò in piedi, diede due
colpetti alla tunica all'altezza delle cosce, per scrollare via i granelli di
sabbia, infine raccolse il mantello di Teseo e si incamminò lenta per la
spiaggia in direzione del punto da cui gli ateniesi si erano introdotti nel
folto della vegetazione. Era certa che il principe si trovasse con loro.
«Teseo?» chiamò con voce flebile e
assonnata.
Non vi fu risposta.
Disorientata, si fermò qualche
istante ad ascoltare il silenzio che regnava sull'isola: le onde continuavano a
scivolare sul bagnasciuga, la brezza sfiorava ancora le fronde dei cedri e
degli ulivi, eppure alla giovane sembrò che qualcosa fosse cambiato. Ora il
silenzio era più profondo, quasi inquietante, e quella spiacevole
sensazione le fece accapponare la pelle.
Poi quell'impressione svanì, come
se non fosse mai esistita, e Arianna tornò a farsi sorridente.
«Teseo?» chiamò di nuovo, più
forte, riprendendo a camminare con lo sguardo rivolto alla boscaglia alla
propria sinistra, aspettandosi di veder comparire l'eroe e i suoi uomini da un
momento all'altro. Sapeva che erano là da qualche parte. Ne era sicura.
Si portò una mano alla nuca, a
sistemare la bella acconciatura a cui la brezza aveva sfilato qualche boccolo,
e nel farlo inclinò di poco il capo dalla parte opposta, verso il mare.
Fu allora che la vide.
Un'immagine inaspettata, violenta
quanto un pugno in pieno stomaco.
La nave di Teseo.
Era piccola, distante; la prua
puntata verso l'orizzonte, le vele nere gonfie di vento, i remi che come
braccia sottili colpivano il mare spingendola lontano... sempre più lontano...
Arianna si sentì morire.
«Teseo!» gridò sconvolta;
gli occhi enormi di paura, la voce incrinata dal panico.
La nave aveva salpato senza di
lei.
No, no, miei Dei, NO! Fate che
non sia vero!
La fanciulla lasciò cadere sulla
sabbia il mantello, che fino a quel momento aveva tenuto stretto al seno come
una preziosa reliquia, e si portò entrambe le mani al viso; le unghie affondate
nelle guance, lo sguardo sempre più folle.
«Teseo!» urlò ancora con
quanta voce aveva in corpo e al culmine della disperazione per quella nave che
si stava facendo sempre più lontana si gettò in acqua. Il mare freddo le si
schiantò sulle cosce, la schiuma le schizzò sul volto facendole bruciare gli
occhi. Contrastando a fatica la resistenza dell'acqua che le premeva addosso,
Arianna cominciò a sbracciare nel tentativo di farsi notare dall'equipaggio
della bireme; la chioma ora sciolta sulle spalle, la veste zuppa, le
gote bianche per l’orrore.
Sapeva che era tutto inutile.
Quello dell'ateniese era stato un
gesto premeditato e in alcun modo poteva trattarsi d'un incidente.
«TESEO!» strillò Arianna
al cielo, pazza di dolore, e col fiato corto e l'acqua che ormai le arrivava
alla vita si fermò. Affondò i pugni nel mare, fece schioccare la schiuma. «Che
tu sia maledetto!» gridò scoppiando in lacrime, incapace di reprimere la
propria angoscia. A fatica strisciò fuori dall’acqua, come una naufraga
stremata, e là, di nuovo in piedi sulle povere gambe che le tremavano per
l'agitazione strizzò le vesti e maledisse il suo innamorato. «Che ne è stato
dell'amore? Delle belle parole? Delle promesse? MALEDETTO!»
Abbandonata su quell'isola
deserta, come un pesante fardello di cui ci si vuole liberare il prima
possibile, la sventurata si rese conto di essere stata raggirata fin dal
principio e provò pena per se stessa.
Come aveva potuto credere a un
nemico di Creta?
Come aveva potuto fraintendere
l'inconfondibile fretta di Teseo nel consumare la loro passione, prima che le
coste dell'Attica apparissero all'orizzonte?
Quanto era stata sciocca e cieca!
Il principe non aveva mai avuto
intenzione di sposarla, bensì di godere del suo bel corpo di fanciulla
inviolata e disponibile facendo di lei un gradevole passatempo per le lunghe
giornate di viaggio, prima del ritorno a casa: questa e solo questa era stata
la ragione per cui l'aveva portata con sé, e ora che la luce della verità e
l'evidenza dei fatti le avevano illuminato la mente Arianna sentiva che
avrebbe potuto impazzire per il troppo dolore.
«TESEO! Non puoi lasciarmi qui! NON
PUOI!» gridò la poverina, con voce spezzata dalle lacrime. Si chinò a
raccogliere della sabbia nel pugno e furibonda la scagliò in direzione della
nave. «Perché mi hai fatto questo? PERCHÉ? E voi, miei Dei, che dalla
vetta dell'Olimpo ogni preghiera ascoltate, punite il figlio d'Egeo per la sua
crudeltà! Impeditegli di far ritorno a casa col cuore colmo di gioia! Il suo
animo è torbido come le acque dello Stige ed egli merita di soffrire come io
soffro ora! Castigatelo, o Dei eterni, e datemi la forza per sopravvivere a questa
pena... vi supplico...»
Nel silenzio dell’isola la
giovane crollò a terra esausta, a un passo dallo svenimento; il corpo che
fremeva a ogni singulto, le lacrime che scendevano a rigarle le guance, il
respiro strozzato dal pianto.
Non riusciva a darsi pace e pensò
che avrebbe potuto piangere fino a morire, quand’ecco che un ruggito vibrò
nell’aria.
Un ringhio violento, che sembrò
scuotere tutta Nasso.
Spaventata, la fanciulla sollevò
il capo di scatto e vide un lucente carro d’oro scendere dal cielo trainato da
sei pantere. E musici, danzatrici, leopardi, satiri… Una variopinta massa di
creature lo accompagnava in un turbinio di fiori, note di tamburelli e profumo
di vino.
D'istinto Arianna si strinse
nelle spalle e strizzò le palpebre più volte: ciò che aveva di fronte a sé
sembrava in tutto e per tutto un'allucinazione, qualcosa che non poteva
corrispondere alla realtà ma che nei suoni e nei colori pareva tremendamente
vero.
Sto sognando...
Disegnando una morbida curva
nell'aria, le sei pantere le passarono davanti ruggendo e non appena le ruote
ebbero toccato la sabbia di Nasso il carro si fermò, e con esso il suo folle
corteo.
Ora la spiaggia era ricca e
festosa; un tripudio di donne dal seno scoperto, bestie feroci, satiri e sileni
ubriachi, ma l'attenzione della giovane era tutta per l’uomo alla guida del
carro.
Sapeva chi era.
Non lo aveva mai incontrato prima
d'allora, eppure lo conosceva da sempre.
«Che succede, dolce fanciulla?»
le domandò lui con un sorriso spontaneo.
Era un bel ragazzo dagli occhi
grandi e verdi, da bambino. Sulla testa sfoggiava una corona d’uva, foglie
d’edera e vite; i grappoli gli dondolavano sulle tempie, l’edera aveva i colori
dell’autunno. Indossava una tunica scarlatta che gli lasciava scoperto per metà
il torso, e un mantello in pelle di leopardo che dalle spalle cadeva giù
donandogli un aspetto maestoso e selvaggio.
Arianna, realizzando di avere
davanti a sé un Dio dell'Olimpo, sentì il cuore battere all'impazzata.
Oh, Dioniso! Signore del Vino
e dell'Estasi! Tu che vivi di festa e allegria cosa mai vai cercando su
quest'isola maledetta? Qua non v'è nulla che possa deliziare il tuo animo
ridente, se non una principessa dal cuore spezzato e le vesti zuppe e sporche
che non vede l'ora di morire!
Imbarazzata per il proprio
aspetto disordinato, Arianna si sistemò meglio la tunica sulle ginocchia e
nascose dietro la schiena la folta chioma, ancora umida d'acqua di mare.
«Il m-mio uomo mi ha
ab-bandonata...» singhiozzò sforzandosi di mantenere un tono di voce calmo: non
voleva che il pianto le imbruttisse ulteriormente il viso, già arrossato dalla
disperazione; non ora che aveva su di sé gli occhi di un Dio, per di più così
attraente. «Ha approfittato del mio amore come un ladro approfitta
dell'oscurità per compiere i propri misfatti, e spietato come pochi mi ha
lasciata qua, a impazzire per lo strazio e l'umiliazione... Oh! Povera
me!» La giovane si portò entrambe le mani al volto e ricominciò a piangere
disperatamente.
Colpito da quelle lacrime il Dio
mutò subito espressione. Balzò giù dal carro e le si avvicinò con fare
premuroso. «Oh, no, no, non piangere» disse chinandosi su di lei e con il lembo
del mantello di pelliccia iniziò ad asciugarle delicatamente le guance.
Arianna, sorpresa da quel gesto
tenero, fissò gli occhi nei suoi e quando il Dio le sorrise sentì le gote
avvampare e il cuore mancare un battito.
Visto da vicino, Dioniso era
bello da togliere il fiato, e per qualche istante la principessa si perse nei
suoi grandi occhi color bosco. E quando si accorse di aver indugiato troppo si
schiarì la voce, intrecciò le dita tra loro e lasciò fuggire lo sguardo, più
timida che mai. Infine prese un respiro a pieni polmoni, che la aiutò a
calmarsi e ad allontanare l'impulso di cedere alle lacrime.
«Ecco, brava...» sussurrò
Dioniso, felice che la crisi di pianto della fanciulla si stesse spegnendo;
ciononostante continuò ad accarezzarle le guance e il collo col suo mantello,
fingendo che fossero ancora umidi al solo scopo di starle vicino il più a lungo
possibile. «Nulla è per me più doloroso che vedere una bella donna nel fiore
degli anni disperarsi in tal maniera. È un'immagine che non riesco a reggere.
Ma dimmi, fanciulla, qual è il nome dell'infame che osò abbandonarti qui?»
«Teseo di Atene, figlio di Egeo
ed Etra» rispose Arianna, senza alcuna esitazione: il desiderio di vendetta che
le albergava nell'animo non si era ancora estinto, tanto profonda era la
delusione che la tormentava. «Questo il nome dell'uomo che a giorni avrei
chiamato marito: Teseo.»
«Dimenticalo, bambina. Un simile
codardo non merita il tuo amore e la tua devozione. Tu, invece, come ti
chiami?»
«Sono Arianna di Creta, figlia di
Re Minosse.»
«Arianna. Che nome
ammaliante...» mormorò fra sé e sé il Dio sedendosi sulla sabbia accanto alla
giovane: un altro gesto che la stupì molto. «Arianna… Arianna… il tuo nome è
come il vino, potrebbe non stancarmi mai. Oh, ma che sbadato! Non ti ho neppure
domandato se gradisci del vino! Perdonami.» Il Dio schioccò le dita e fece un
cenno a una delle menadi, le graziose fanciulle seminude che stavano
danzando e bevendo intorno a loro sulla spiaggia, in compagnia dei satiri. «VINOOO!»
gridò e subito tornò a guardare la principessa al suo fianco. «Ah, nel caso
avessi ancora dei dubbi a riguardo, ebbene sì: io sono Dioniso, Dio del Vino,
della festa e di tutto ciò che nella vita è godimento.»
All'improvviso si udì un tonfo
sordo, seguito da un’esplosione di risate: Sileno, vecchio e grasso maestro del
Dio, in preda ai fumi dell’alcool era caduto di testa dalla groppa della sua
asina, col viso affondato nella sabbia.
Nell’assistere a quella scena
Dioniso scoppiò a ridere tenendosi la pancia e piegandosi in avanti, come un
bimbo in preda a un eccesso di riso. «Ah, Sileno! Sbronzone mio! Tu sì che sai
come animare una festa, ma bada a non romperti l'osso del collo!» gridò
esilarato il Dio, con le lacrime agli occhi, e non appena recuperò il controllo
di sé si portò una mano alla bocca, con fare colpevole. «Perdona la mia
scortesia, bella Arianna. Non è assolutamente mia intenzione ridere di fronte
al tuo dolore...» disse mentre una biondina dal seno nudo si avvicinava
offrendogli una coppa d'oro colma di vino, che lui prese subito in mano. «Ma
capirai che un vecchio sbronzo che cade da un ciuco è uno spettacolo a cui
neppure un Dio può resistere! Anzi, sono certo che sotto sotto fa ridere pure
te, anche se per pudore non lo dai a vedere. Ho ragione? Ho ragione?»
Con la mano libera il Dio
stuzzicò la guancia della giovane cercando di rallegrarle l'umore, e lei rise
forte, colta di sorpresa da un moto di solletico.
«Oh, no, vi prego! Mi date
i brividi!» esclamò Arianna portandosi la mano alla bocca, a coprire quel
sorriso inaspettato, e di nuovo i verdi occhi di Dioniso la folgorarono,
irrorandole il corpo di calore: l'inconfondibile calore dell'innamoramento.
Quanto è bello...
Il Dio, rapito a sua volta dalla
bellezza genuina di quella mortale che, nonostante le vesti stropicciate e
l'acconciatura disfatta, gli sembrava più splendida e desiderabile della stessa
Afrodite, si avvicinò ulteriormente a lei e godé del suo profumo. Poi,
quand'erano ormai così vicini che avrebbero potuto baciarsi, si allontanò quel
tanto che bastava per interporre tra loro la coppa di vino. «Che dici, Arianna,
brindiamo al tuo ritrovato sorriso?» domandò.
La principessa, col viso sempre
più rosso per l'infatuazione, tanto il bel Dio aveva fatto colpo su di lei,
annuì lievemente. «Volentieri, mio Signore...» rispose con un sussurro e
Dioniso, con fare sensuale, quasi non vedesse l'ora di ammirarla mentre
assaporava il suo vino, le poggiò il bordo della coppa sulle labbra.
«Bevi, fanciulla...» disse con
voce calda. «Bevi e rallegrati. Ora con te ci sono io.»
Arianna non pensò più a nulla;
chiuse gli occhi e prese un gran sorso, accorgendosi solo in quel momento di
essere incredibilmente assetata, e subito si illuminò: quel vino era squisito,
una vera delizia.
Soddisfatto della sua reazione il
Dio bevve a sua volta, poggiando le labbra nel punto dove le aveva poggiate lei
e facendo attenzione che notasse questo dettaglio, che altro non era se non
l'ennesimo tentativo di evidenziare il proprio interesse nei suoi confronti: un
interesse sul quale Arianna iniziava a interrogarsi.
O Signore dell'Ebbrezza e
dell'Euforia, possibile mai che sia la luce dell'amore a rendere il vostro
volto così ammaliante? Possibile che questa fanciulla sventurata, che nulla ha
più da offrire se non tutta se stessa, vi abbia conquistato il cuore? Oh, vi
prego, non guardatemi così! La mia fantasia corre e i miei sentimenti per voi
si fanno di fuoco... fuoco che brucia...
Dioniso finì di bere il vino e
posò sulla sabbia la coppa ormai vuota. «Mi piaci, Arianna...» disse sfiorando
con la punta delle dita il viso della principessa, come se avesse percepito la
sua incertezza e i suoi dubbi. «Le parole non possono esprimere quanto io sia
incantato da te...»
Ora erano di nuovo vicinissimi e
Arianna avvertì una vampata di calore scaldarle l'addome e l'inguine: qualcosa
di simile a una fitta di piacere, che le fece tremare le labbra.
Il Dio emanava un'energia particolare,
un'aura divina che lei sentiva premere addosso a sé e di cui riusciva a
cogliere ogni sfumatura: l'inestinguibile sete di vino, la follia, la passione
per i festeggiamenti, il caos nella sua forma più violenta... e la lussuria,
quella spinta sessuale primordiale che non si dà alcun limite pur di
raggiungere l'appagamento...
Arianna deglutì, attratta da quel
Dio che nulla aveva in comune con lei, casta e pudica, ma che chissà per quale
ragione sentiva così affine. Così perfetto.
«...perché proprio io?»
domandò con un fil di voce, occhi negli occhi con Dioniso. «Il mio aspetto è
misero e il mio animo è corroso dal desiderio di vendetta. Guardatemi, non
merito le attenzioni di un Dio...»
«Ti prego, rinuncia a questa
riverenza. Sono una divinità dell'Olimpo, è vero, ma non voglio che tra me e te
vi sia una simile distanza. Rilassati, fanciulla, e rivolgiti a me com'eri
solita fare quando t'intrattenevi a chiacchierare con quel Teseo. Mi faresti
piacere.»
«Lo farò senz'altro...» rispose
Arianna accennando un sorriso e il Dio, dopo averla accarezzata ancora una
volta, si alzò in piedi a contemplare la festa che si stava consumando
tutt'attorno tra canti, danze e bevute. Si fece portare un'altra coppa di vino,
ne prese un sorso, si passò la lingua sulle labbra e tornò a rivolgersi ad
Arianna, rimasta seduta sulla sabbia.
«Allora dimmi, mia cara: con che
modalità vuoi ch'io punisca Teseo?»
«...cosa?»
Dioniso alzò un sopracciglio,
dubbioso. «Non sei stata forse tu a implorare gli Dei del cielo di castigarlo
per la sua crudeltà? Di impedirgli di far ritorno a casa con la serenità nel
cuore?»
All'improvviso la fanciulla
avvertì una sensazione sgradevole: un misto tra imbarazzo, disgusto e
dispiacere. Abbassò il capo, senza dire nulla.
«Oh, non vergognarti, Arianna!»
esclamò Dioniso scuotendo la testa. «Io AMO la vendetta e non v'è Dio
sull'Olimpo che non provi immensa soddisfazione a punire chi merita d'esser
punito! E il fatto che tu desideri riscattare te stessa ti fa onore, perciò
metti da parte ogni remora e confidami quale sciagura vuoi ch'io abbatta
sull'uomo che ti rovinò la vita. Non hai che da chiedere e io per te eseguirò.»
Arianna riordinò i suoi pensieri
per qualche momento, poi tornò a guardare il Dio. «Conoscerà mai il dolore?
Piangerà mai tanto quanto ho pianto io su questa spiaggia desolata?»
«Il destino degli uomini è nelle
mani delle Moire, le Filatrici Eterne di cui persino mio padre Zeus ha timore,
e loro soltanto sanno ciò che accadrà» rispose Dioniso poco prima di prendere
un altro sorso di vino. Poi continuò: «Eppure ciò che avverrà al principe è
intuibile. Come tutti gli eroi e i mortali che per le loro imprese rimarranno
nella storia, anch'egli andrà incontro a un inevitabile declino, dopo aver sperimentato
la gioia più elevata e il patimento più folle.»
«Allora sia ciò che il fato ha
deciso per lui» replicò la giovane, con lo spirito più calmo. «In fondo non sta
a me decidere quanto debba soffrire...»
Dioniso le sorrise. «Sei tanto
buona, dolce Arianna...»
«Ma cosa ne sarà di me?» domandò
lei.
«La debolezza e la paura non ti
appartengono, lo so bene» rispose il Dio continuando a sorriderle. «Da tanto
osservo la tua vita. Sei ingegnosa, il coraggio non ti manca e di nobiltà
d’animo hai pieno il cuore. Affascinante il trucchetto del filo! Ti faccio i
miei complimenti augurandomi che tu li abbia ricevuti anche da quell’ingrato a
cui a Creta salvasti la vita...»
Arianna rivolse a Dioniso uno
sguardo sorpreso e lui si morse un labbro con l’atteggiamento di chi sa di
essersi fatto sfuggire una parola di troppo. «Ups... da questa boccaccia
scappa sempre qualcosa più del necessario, soprattutto quando bevo...» mormorò
tra i denti e subito il suo sorriso si allargò. «Ebbene sì. Ti conosco da
tanto. Si potrebbe dire che abbia finto di non sapere, prima, chiedendoti per
quale ragione stessi piangendo, cosa fosse successo… Sì, conosco la vicenda nei
dettagli. Conosco Teseo, so che sei figlia di Minosse. So tutto ma avevo voglia
di sentirlo raccontare da te, dalla tua bella voce...»
«Oh, suvvia! Ma che scherzi mi
fai?» esclamò la principessa ridendo di gusto. «Ti avrò annoiato per tutto il
tempo, con le mie chiacchiere...»
Dioniso, con le guance ora rosse
per l'ebbrezza crescente e la passione che minuto dopo minuto si faceva più
intensa, rovesciò la testa all'indietro e bevve in un sol sorso tutto il vino
della coppa. Poi se la gettò alle spalle e tese la mano alla fanciulla con fare
solenne.
«O dolce Arianna dagli occhi che
brillano. Dimentica il vile figlio d'Egeo, che ti lasciò su quest'isola senza
voltarsi indietro, e fa' della tua tenerezza e dei tuoi sorrisi un dono
speciale per me e me soltanto.»
La giovane, colpita da
quell'esplicita dichiarazione d'amore, si portò una mano al seno. Fece per
aprire bocca ma il Dio la anticipò.
«M'incanti, fanciulla, e io ti
amo come non ho mai amato nessuna in tutta la vita. Ti prego, non dubitare di
queste mie parole, non accoglierle con diffidenza. Sono ubriaco ma so ciò che
dico e mai, per nessuna ragione al mondo, oserei far del tuo buon cuore
un oggetto di trastullamento. L'amore che provo per te è puro, limpido quanto
le lacrime che hai versato per colui che non le meritava, ed è spinto da questo
amore ch'io, Signore del Vino e della Festa, ti chiedo di unirti a me.»
Oh, Dioniso...
«Sposami, Arianna. Stringi questa
mano e accettami come tuo sposo, e con immensa gioia io ti offrirò l'Olimpo e
il mio eterno amore.»
Arianna non ci pensò su neppure
un istante. Sorrise e poggiò la mano su quella del Dio lasciandosi deliziare dalla
sua aura immortale, e scattò in piedi. Subito Dioniso le cinse la vita col
braccio stringendola a sé, e per qualche momento, rapita dalla bellezza di quel
viso divino, la principessa si sentì venir meno.
Era tutto così incredibile.
Così meraviglioso.
«Mi sposi?» domandò il Dio.
«Sì» replicò pronta Arianna, più
felice che mai. «Certo che sì!»
Dioniso sorrise e il suo viso si
illuminò di luce. Dalle foglie d’uva che gli ornavano il capo sfilò dell’edera
e la intrecciò fino a farne una corona. «Ti prego di accettare questo dono, mia
amata Arianna, come segno del profondo amore che provo per te.» Detto questo,
posò la corona di foglie sul capo della fanciulla, che riconoscente gli prese
la mano, se la portò alle labbra e la baciò.
«Anch'io ti amo, mio bel Dio
sceso dal cielo, e t'amerò sempre, qualsiasi cosa accada. Sei quanto di più
prezioso mi abbia mai offerto la vita e io farò il possibile, e anche
l'impossibile, per essere una moglie degna di te.»
Colpito da tanta devozione e
dolcezza, il Dio si sentì ardere dal desiderio di sposare quella bella mortale
e sopraffatto dall'euforia la baciò sulle labbra: un bacio passionale, di
quelli che mozzano il fiato, che Arianna ricambiò subito stringendosi al suo
corpo, pazza d'amore.
Rimasero così, aggrappati l'uno
all'altra come due amanti che dopo innumerevoli anni di lontananza si erano
finalmente ritrovati, fino a quando Dioniso si staccò dalla sua bocca e volse
il capo, deciso a comunicare la lieta notizia al proprio seguito.
«L'incantevole Arianna di Creta ha
acconsentito a sposarmi! CHE SIA FESTA, GIOIA E VINO!» gridò e
l'annuncio fu accolto da un boato d'esultanza da parte dei suoi seguaci. La
musica dei tamburelli e dei flauti si fece più forte, le risate più fragorose;
il vino cominciò a scorrere a fiumi, rinfrescò le gole, macchiò le vesti, e
dalla spiaggia di Nasso l'entusiasmo per l'imminente matrimonio giunse fin
sulla cima dell'Olimpo, dove gli Dei si prepararono ad offrire alla nuova
coppia di innamorati un'accoglienza di tutto rispetto.
Dioniso, mano nella mano con
Arianna, la accompagnò al carro d'oro.
«Sei bellissima...» le disse
incapace di staccarle gli occhi di dosso, mentre menadi e satiri saltavano
gioiosi accanto a loro.
Arianna gli rivolse
un'espressione tra la timidezza e l'imbarazzo. «Sono ancora umida d'acqua di
mare, sono inguardabile...»
«Tu non sai quanto sei bella»
rispose il Dio baciandola sulla guancia.
«E tu sei ubriaco e non sai ciò
che dici» ribatté lei, con un sorriso divertito.
Dioniso si lasciò scappare una
risata. «Oh, amor mio! La mia è solo un'ebbrezza leggera, posso fare ben di
peggio! Credimi, non hai ancora visto nulla... preparati.»
Arianna gli diede una spintarella
giocosa, di quelle che invitano implicitamente a smetterla di dire sciocchezze,
e montò sul carro, fiera e sorridente. Le lacrime e il dolore di poco prima
erano già un pallido ricordo, lontano come la nave di Teseo all'orizzonte. Ora
era felice e di nuovo innamorata, e sentiva che lo sarebbe stata per tutta
l’eternità. E dopo averla fatta accomodare, il bel Dio del Vino le si sedé
accanto, schioccò le redini e il carro d’oro ripartì verso il cielo,
accompagnato dal suo folle seguito.
Bellissimo, complimenti!!! Per un attimo pure io mi sono innamorata di Dioniso.
RispondiEliminaBeata te che ti sei innamorata solo per un attimo... Dopo avere visto la fanart ho percepito fisicamete gli ormoni schizzarmi alle stelle... hehehe
EliminaScritto divinamente, riesce a trasportarti all'interno della scena, davvero un testo magnifico e una lettura piacevolissima che fa emozionare. Sarebbe davvero stupendo poter leggere una specie di seguito, con il loro matrimonio o l'arrivo di Arianna sull'Olimpo... Complimenti vivissimi!
RispondiEliminaprima o poi arriverà anche quello :)
EliminaDavvero splendido, è una delle cose più dolci che abbia mai letto! Sono diventati la mia coppia preferita ^^
RispondiEliminaHo ancora il cuore che batte, riesce a darti un emozione enorme.
Come sempre è una storia stupenda!
molto bella, una versione del mito dolce e piena di grazia. alcuni teorici delle religioni sostengono che Arianna sia stata vittima di un sacrificio umano e ascesa all'Olimpo in forma divinizzata. questo racconto proprio come il mito ci racconta teatralmente una verità assai più dura. Dioniso per eccellenza é il dio del sacrificio, fatto a pezzi e mangiato dai titani poi fatto rinascere come Dio dalle ceneri di questi. Dioniso é il compagno adatto ad accompagnare Arianna all'Olimpo dopo la sua morte atroce. questa versione soft che parla del loro amore é una splendida forma tragica che cela e solo annuncia la verità del classico sacrificio della vittima femminile.
RispondiEliminaOh là! UN bel lieto fine di quelli che mi fanno ridere di cuore
RispondiEliminaBellissima, scrivi davvero molto bene, complimenti!
RispondiEliminaSei riuscita a far capire divinamente (a me ma credo anche a tuttu) ciò che Arianna prova, ogni singola emozione e ogni singolo pensiero.
Ancora complimenti!
P. S.: quando Sileno è caduto sono mort× HAHAHAHAHAHAHAHAH